Cosa significa essere una comunità regale?

Per essere una comunità regale

1 Pietro 2,9

 
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Il desiderio della nostra chiesa a Roma è di essere una comunità profetica, sacerdotale e regale. Non siamo qui per fare i turisti e nemmeno per trovare semplicemente un riparo confortevole al caos organizzato della città. Siamo stati chiamati ad un compito all’altezza della vocazione della chiesa cristiana.

Essere profeti significa avere ricevuto una storia da raccontare agli altri, la buona notizia di Gesù. I profeti sanno che le persone a cui annunciano l’evangelo hanno la testa e il cuore pieni di altre storie che contrastano con l’evangelo. Tuttavia, con coraggio ed empatia, entrano nella storia della città e annunciano una storia sovversiva: quella dell’evangelo che dice che Dio è giusto e amorevole e che noi tutti siamo peccatori e che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è venuto per morire e risorgere dai morti, pagando il prezzo del peccato e annunciando salvezza a chi crede in Lui. Chi ha guidato Roma ha da sempre promesso la “pax romana” a chi si sottometteva: fosse l’impero o la chiesa o lo stato, tutti hanno promesso la pace, ma la città è tutt’altro che pacifica. Il nostro essere profeti significa annunciare la pace di Cristo e viverla tra noi.

Essere sacerdoti significa essere tutti responsabili della nostra relazione con Dio e con gli altri. Per grazia abbiamo accesso al trono di Dio grazie a Gesù Cristo, il Sommo Sacerdote, senza bisogno di alcun altro mediatore o di una istituzione che medi il nostro rapporto con Dio. Siamo tutti sacerdoti, tutti impegnati a conoscere Cristo e a farlo conoscere. In una città che ha introdotto una classe di sacerdoti nella chiesa che amministra la grazia di Dio, separandola da quella dei laici, questa è una responsabilità contro culturale. Mentre siamo vicini a Dio, vogliamo essere vicini al prossimo. Il sacerdozio è prossimità, empatia, vicinanza. Noi vogliamo essere una chiesa che annuncia l’evangelo, ma non mantenendo le distanze e rimanendo lontano dalle persone. Vogliamo essere profeti e sacerdoti insieme, nitidi del messaggio, accoglienti nell’atteggiamento. Cristo ci ha annunciato l’evangelo: noi vogliamo dirlo ad altri. Cristo ci ha accolti con amore: noi vogliamo essere prossimi agli altri con il suo amore. Oggi ci soffermiamo sulla vocazione regale. Cosa significa essere una comunità regale? Come i termini profeta e sacerdote devono essere ben compresi, anche quello di re deve essere capito biblicamente, altrimenti si rischia di avere un’idea del tutto distorta. Re, regno, monarchia non hanno significati positivi a Roma e in Italia. Non abbiamo una buona memoria di re e nessuno ha nostalgia della monarchia. E allora, cosa ci vuole dire la Bibbia quando ci chiama ad essere un popolo regale? Due cose in particolare:

1. Appassionati nelle vocazioni ricevute
Per capire cosa significhi esercitare un servizio regale, bisogna tornare alla prima pagina della Bibbia quando Dio creò il mondo. Al culmine della sua creazione, creò l’uomo e la donna dando loro un mandato, un compito: moltiplicarsi, scoprire il mondo, lavorare il giardino. Venne istituita la famiglia con il matrimonio, venne istituita la pratica della conoscenza con il dare il nome agli animali e alle piante (studiando e classificando la realtà), venne istituito il lavoro con il compito di coltivare e di prendersi cura dell’ambiente. Dio affidò all’uomo una responsabilità di servizio nel campo famigliare, scientifico ed economico. In questi spazi Adamo ed Eva furono chiamati a svolgere un ministero regale: esercitare una responsabilità servizievole. Dio rimane il Re dell’universo e affida un mandato di reggenza, di amministrazione delegata, di coinvolgimento nell’esercizio di guida. La vocazione di abitare il mondo è una forma di ministero regale.

Con l’ingresso del peccato, tutti questi ambiti di responsabilità: famiglia, conoscenza e lavoro, sono stati impattati da una spirale di conflitto e contrapposizione. Le varie responsabilità sono state inquinate, rovinate, deformate. La famiglia è diventata luogo di competizione e di rottura, con la sessualità vissuta come una variabile indipendente dall’impegno matrimoniale. La conoscenza è diventata un settore di diseguaglianze che hanno scompensato il mondo tra chi ha accesso alle conoscenze e chi non lo ha. Il lavoro è diventato un ambito di frustrazione ed ingiustizia. Rimangono tutti campi vitali, ma sono in preda al caos. Questi sono i campi di battaglia in cui le nostre vite passano e ne rimangono ferite, sconvolte, perplesse. Le nostre sono vite disfunzionali perchè le vocazioni della nostra vita sono preda della rottura del peccato.

Gesù si è presentato come il re venuto ad instaurare il suo regno. Cosa significa? Che Lui avrebbe portato un regno in cui le antiche vocazioni sarebbero state sanate, guarite, rilanciate e promosse nel mondo. Lui è il Re che chiama nel Suo regno chi crede in Lui. Chi entra nel suo regno re-impara a vivere i compiti regali all’insegna della redenzione, della guarigione, del servizio, della vocazione. Re-impara ad essere famiglia in modo ricco e virtuoso; re-impara a vivere nel mondo non in modo furbesco ed egoistico, ma solidale; re-impara a lavorare non in modo impersonale, ma con passione. Essere una comunità regale vuol dire riattivare la passione per le vocazioni della vita; riaccendere la fiamma nelle responsabilità ricevute; ritornare sui binari giusti della vita dopo essersi smarriti in percorsi fallimentari.

Entrare nel regno di Dio non significa fuggire dal mondo, ma rientrare nel mondo per riprendersi le vocazioni che il peccato ha deformato e per riviverle avendo Gesù come Re e il suo Regno come contesto sano in cui rilanciarle. Una comunità regale prende sul serio le vocazioni ricevute. Primo le vocazioni personali: Dio ti ha chiamato ad essere celibe o nubile? Benissimo. Vivi la tua vocazione con Dio e per Lui, aprendoti a relazioni ricche e generose. Dio ti ha chiamato al matrimonio? Benissimo. Investi nella tua famiglia il meglio di te e apriti alla generazione e all’educazione dei figli. Molte persone Roma vivono questa vocazione personale in modo disordinato e disimpegnato. La comunità regale è guarita da queste disfunzionalità e si riappropria delle vocazioni al celibato o al matrimonio. Secondo, le vocazioni professionali o lavorative. Dio ti ha chiamato a lavorare e il lavoro è una benedizione. Certo, è un campo difficile e caotico, ma essere una comunità regale significa valorizzare il lavoro come luogo di servizio a Dio e al mondo, luogo di creatività, di fatica, di collaborazione, di obbiettivi per esercitare una responsabilità servizievole.

Una comunità regale incoraggia le vocazioni, tutte le vocazioni, come campi di servizio e responsabilità. Per essere famiglie guarite, mariti e mogli fedeli, genitori presenti, cittadini consapevoli, lavoratori energici, amici affidabili, consumatori integri, investitori saggi, sportivi limpidi, risparmiatori avveduti, amministratori equi. La chiesa deve essere una palestra delle vocazioni. In essa le vocazioni devono fiorire piuttosto che essere scoraggiate o vissute solo in modo utilitaristico. Saremo una comunità regale se ognuno di noi si riappropria della propria vocazione e non la vive in modo passivo o anonimo, ma creativo ed energico: davanti a Dio e per il bene del prossimo. Questo è il regno di Dio! L’evangelo riconsegna alla vita, restituisce all’impegno di vivere pienamente, profondamente, appassionatamente. Senza il vangelo, si è nel labirinto chiassoso di un mondo sottosopra che ha abbruttito le vocazioni. Tu dove vuoi stare? Nel regno caotico dove regna la legge del più forte e dove chi è furbo prevale o nel regno di Dio dove tutti concorrono a rispondere alle vocazioni ricevute per la gloria di Dio? Quello che Dio ti ha chiamato ad essere e a fare, lì è il tuo ambito regale da vivere con Cristo. La chiesa sarà il luogo dove impareremo, scopriremo e incoraggeremo le diverse vocazioni a essere uomini e donne guariti, maturi, solidi ed affidabili, servendo il Re dei re e il Signore dei signori.

2. Impegnati nel promuovere l’ordine di Dio
C’è un altro profilo da considerare nell’essere comunità regale a Roma. Quello che abbiamo considerato sin qui è una responsabilità prevalentemente personale. Ora vogliamo dire qualcosa sulla responsabilità pubblica di essere una comunità regale. I re e i regni che si sono succeduti a Roma hanno lasciato una città allo sbando. L’impero è stato autoritario e tirannico, la chiesa è stata accentratrice e manipolatrice, lo stato è stato invasivo e disonesto. La politica è spesso in mano a bande criminali con i guanti bianchi, il commercio è inquinato dal mercato nero, gli affari sono strozzati da condizioni economiche impossibili, le iniziative sono bloccate da una burocrazia soffocante. Tutti i campi sono inquinati.

Il regno di Dio è un regno dove si riscopre l’ordine di Dio: la chiesa fa la chiesa, lo stato fa lo stato, l’amministrazione facilita le attività, la politica mette insieme interessi diversi in vista del bene di tutti, le scuole e le università formano in modo integrale, le associazioni arricchiscono la vita culturale e sociale. Una comunità regale testimonia l’ordine di Dio al suo interno, ma anche lo promuove all’esterno, sulla piazza pubblica, in città. Incoraggia, stimola, stuzzica il sistema a non adagiarsi su equilibri malsani e malati, ma a scoprire l’infrastruttura della vita che regge la vita umana. Incoraggia le responsabilità, richiama alla rendicontazione, incita all’onestà, promuove la trasparenza. Questo è un programma rivoluzionario per Roma! I suoi regni imperiali, ecclesiastici e statali hanno prodotto un sistema che ha strozzato la città. Il regno di Dio è l’unica soluzione per una sua vera rinascita. Cosa possiamo fare noi? Noi possiamo annunciare profeticamente l’evangelo: la vera e unica storia che può liberare! Noi possiamo servire sacerdotalmente la città e farlo tutti insieme con le nostre diversità! Noi possiamo vivere regalmente impegnandoci nelle vocazioni ricevute e testimoniando l’ordine di Dio, l’unico ordine che non opprime ma redime, l’unico ordine che non schiaccia, ma rilancia, l’unico ordine che non delude, ma che dà speranza! Che il Signore ci faccia grazia di poter essere una simile comunità.

Leonardo De Chirico

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