Genesi 37-50 - Di fronte al lavoro che cambia

Predicato a Roma il 05-05-2019 | Leonardo De Chirico

 
 

Genesi 39,1-6; 40,1-4; 41,38-40; 50,19-21

Quanti lavori hai fatto nella tua vita? Uno, due, tre? Per alcuni la domanda potrebbe essere: quanti lavori stai facendo ora nella tua vita? In genere la vita lavorativa è caratterizzata da stagioni in cui si svolgono mansioni diverse. Si inizia con un lavoro, poi se ne fa un altro, e un altro ancora. Oggi poi, soprattutto nei giovani, l’attività lavorativa è caratterizzata da lavori multipli e a tempo determinato. Questo per dire che la vita del lavoro è sempre sfidata dal cambiamento. Come lo affronti? Ti mette ansia, preoccupazione? Oggi più che mai il cambiamento si presenta in una forma specifica: la precarietà. Il lavoro è precario, a tempo, parziale, spesso in condizioni inique e con salari bassi. Quindi va cambiato spesso. Ma ce ne sarà un altro? Sarà migliore? E poi, si può costruire una vita su basi lavorative precarie senza certezze lavorative oggi?

La storia che abbiamo letto oggi è quella di Giuseppe, figlio di Giacobbe e Rachele, il ragazzo venduto dai suoi fratelli ad una tribù nomade di Madianiti, rivenduto a Potifar, il ministro egiziano, per lavorare in casa sua; imprigionato per un’accusa ingiusta; liberato per aver svelato il significato di un sogno a Faraone, promosso da quest’ultimo a vice-re d’Egitto; da questa posizione salvò la sua famiglia che l’aveva venduto e abbandonato. La sua vita fu costellata da lavori diversi, in luoghi imprevisti ed in condizioni inaspettate. Dietro la sua storia c’era però una più grande storia che si svolgeva e di cui Giuseppe capì la dinamica e soprattutto di cui Giuseppe riconobbe il Protagonista e l’Artefice. Rileggeremo questa storia facendoci quattro domande.

1. Sarai stabile negli imprevisti?

La storia di Giuseppe è quella di un uomo che ha cambiato alcuni lavori nella vita. Da ragazzo iniziò a pascolare il gregge coi fratelli (37,2). Suo padre era pastore, la sua famiglia aveva una lunga storia di pastorizia alle spalle, i suoi fratelli erano pastori e anche lui iniziò a lavorare come pastore. Non sorprende che anche lui abbia iniziato a lavorare come pastore. Fino a pochi decenni fa, il lavoro era così. Non lo sceglievi tu, ma la tua famiglia lo sceglieva per te: di generazione in generazione. Giuseppe entrò in questo meccanismo e si adeguò.

Questa fu la prima esperienza. Poi se ne aprì un’altra inaspettata. Dopo essere stato venduto dai suoi stessi fratelli, si ritrovò in Egitto schiavo di Potifar. Schiavo in paese straniero. Senza diritti e senza riconoscimenti. Spaesato e strappato dal suo mondo. Ben presto, però, fece carriera e si ritrovò ad essere nominato maggiordomo della casa e curatore dei beni di Potifar (39,4). Si reinventò come amministratore di un’azienda famigliare, uomo di fiducia, uomo affidabile, uomo capace. 

La storia prosegue e Giuseppe si ritrova in prigione ingiustamente. Anche qui tuttavia lavora e diventa sorvegliante degli altri detenuti (40,4). Svolge una mansione “sindacale”

di sorveglianza e rappresentanza dei detenuti. Poi, dopo che Giuseppe rivela il significato del sogno del Faraone, quest’ultimo lo nomina viceré di tutto l’Egitto (41,40) facendolo diventare plenipotenziaro dello stato intero. Con questo lavoro Giuseppe regola l’economia del Paese e amministra un tempo di espansione economica e uno di recessione economica assicurando la sopravvivenza dell’Egitto e dei paesi circostanti. 

Pastore, schiavo, maggiordomo e amministratore, sorvegliante, primo ministro. Una carriera lavorativa segnata da tanti cambiamenti: in luoghi diversi, in condizioni diverse, in circostanze diverse, in mansioni diverse, con paghe diverse, con ruoli diversi. Una carriera lavorativa imprevedibile all’inizio. Partita in modo tradizionale, continuata in modo traumatico, apertasi a situazioni inaspettate, culminata in esiti impensabili. Giuseppe fu aperto ai cambiamenti e li cavalcò fidandosi di Dio. Invece di farsi sopraffare da essi, si adeguò a quello che si presentava davanti a sé, assecondando i movimenti di Dio per la sua vita. Non dobbiamo avere paura dei cambiamenti nel lavoro, soprattutto in questa fase segnata dalla precarietà del lavoro. Giuseppe si aprì ai cambiamenti, ma ancor più, il Figlio di Dio nella persona di Gesù si aprì alla volontà del Padre affrontando il cambiamento di lasciare la gloria per entrare nel nostro “mercato del lavoro” e compiere un lavoro che è stato riconosciuto da pochi, anche se è stato accettato dal Padre per la nostra salvezza.

 

2. Sarai integro di fronte alle sfide?

I diversi lavori di Giuseppe lo misero di fronte a tante sfide che avrebbero potuto rovinarlo. Nel tuo lavoro ci sono delle insidie che hanno la forza di distruggerci come persone. Lui dovette affrontare tre sfide principali.  

La sfida del risentimento e del vittimismo. Dopo essere stato abbandonato e venduto dai suo fratelli, avrebbe potuto vivere di risentimento e sulla scia del vittimismo. Avrebbe potuto coltivare rancore e livore, rovinando ancor più la sua condizione. In realtà, dove si trovò, ricominciò in modo costruttivo, si riciclò in modo sereno, pose le basi per un servizio utile. Giuseppe non si ritagliò la nicchia della vittima, ma fidandosi di Dio, costruì una vita precaria ma solida, piegata e non spezzata, impegnandosi con lealtà verso Potifar (39,2), trattando con dignità i prigionieri (39,21 e cap. 40), perdonando con misericordia i suoi fratelli e anzi salvandoli dalla carestia, senza vendette (50,19-21). Il vittimismo è un cancro del cuore da cui siamo stati liberati per vivere in modo guarito e aperto.

La sfida dell’immoralità. Sul posto di lavoro Giuseppe ebbe l’opportunità di andare a letto con la moglie del principale (39,7-20). Le avances di lei furono pressanti e continue, ma lui resistette anche a costo di subire il licenziamento e anzi la prigionia. I luoghi di lavoro sono posti di grande immoralità: tra colleghi che flirtano, tra capi e sottoposti che sono infedeli ai loro sposi, in discorsi spesso centrati sul sesso disordinato ed idolatrico. Per grazia di Dio, Giuseppe rimase integro: lo sei tu? 

La sfida del delirio di onnipotenza. Giuseppe fu chiamato a gestire situazioni eccezionali che richiedevano decisioni eccezionali. Diventò viceré con ampia autorità, ma non perse mai di vista il servizio. Anche con decisioni drastiche, mirò alla sopravvivenza del popolo e al bene del Paese. Fu aperto all’aiuto di popoli stranieri colpiti dalla carestia. Non rinnegò la sua famiglia che gli aveva fatto tanto male. Dalla fossa da cui fu venduto fino al trono su cui fu seduto, Giuseppe rimase Giuseppe. Non sbatté la testa nel dolore, non si montò la testa nella gloria. Il lavoro può esporre a queste situazioni limite: scoraggiamento o esaltazione. Giuseppe non cedette né all’uno né all’altra. Rimase sobrio. Ancor più, Gesù Cristo non cedette alle tentazioni del diavolo di rovinare la sua vita e rimase integro per andare sino in fondo per la nostra salvezza. Rimarremo integri noi?

 

3. Saprai dare il meglio dove Dio ti ha messo?

La carriera lavorativa di Giuseppe fu movimentata e piena di cambiamenti radicali. I rovesciamenti di fronti e i traumi subiti avrebbero potuto spezzarla fino ad annientarla. Nel lavoro le rotture profonde si traducono in svogliatezza, irresponsabilità, poco impegno. Dietro la scarsa efficienza e l’indolenza ci sono mondi malati dentro i quali le persone vivono. Giuseppe diede prova della sua vita guarita nell’impegnarsi sempre a ripartire e riuscendo bene in ogni cosa che intraprendeva (39,3). Dove si trovava, lì attivava le migliori energie di cui disponeva. Giuseppe è stato un esempio di chi ha vissuto in profondità il comandamento biblico: “Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze” (Ecclesiaste 9,10).

Il lavoro, qualsiasi lavoro Dio ci abbia chiamati a fare al momento, è l’attività in cui dare il meglio che Dio ci dà in quel momento. Se lavoriamo, facciamolo bene, al meglio di noi stessi. L’efficienza, l’affidabilità, l’impegno, lo zelo, sono sempre segnali di una spiritualità cristiana matura. Un lavoratore cristiano svogliato, assente, inaffidabile è una contraddizione di termini. Gesù Cristo ha dato tutto sé stesso per la nostra salvezza. Anche lavorando, daremo noi qualcosa meno in risposta all’aver ricevuto il meglio di Dio?

 

4. Saprai accettare la Sua sovranità?

La carriera lavorativa di Giuseppe avvenne dentro una serie di traumi ed esperienze limite, ma anche forte di una presenza divina straordinaria che lo seppe accompagnare e che fu in grado di trasformare una tragedia annunciata in una festa inaspettata. Fu abbandonato della famiglia, ma Dio rimase con lui (39,2; 39,21). Tradito dai suoi fratelli, ma guarito da Dio (50,20). Investito da un progetto distruttivo, ma ricostruito da un progetto divino. Tutta la sua vita può essere letta come la storia dei fratelli malvagi, della moglie ninfomane di Potifar, del Faraone sognatore, ma in realtà è la storia di Dio che cuce tutti questi pezzi e li tesse dentro una tela di salvezza. Sembra essere una storia guidata dal peccato, dalla schiavitù, dall’ingiustizia, dalla carestia, ma in realtà è una storia guidata e salvata da Dio che ha preso un impegno con noi e l’ha mantenuto mandando Suo Figlio Gesù a compiere l’opera che cambia il nostro lavoro.

“Sono forse al posto di Dio?” (50,19) – disse Giuseppe a conclusione della sua vita. Sei forse tu al posto di Dio? Sono forse io a dover dominare la precarietà del lavoro? No, è Dio che mi accompagna. Sono forse io a dover far fronte alle sfide del vittimismo, dell’immoralità, del delirio d’onnipotenza sul posto di lavoro? No, è Dio che mi darà la forza di reggere e di rimanere integro. Sono forse io che sempre devo mostrare ciò che valgo? No, è Dio che mi ha accettato in Cristo e che mi chiama a lavorare con impegno per glorificarlo e per servire il prossimo. Sono forse io a determinare la mia storia da solo o sono forse le circostanze esterne a farlo? No, è Dio che scrive la mia storia, riciclando tutti i pezzi, incollando quelli rotti, cucendo gli strappi, guarendo le ferite, costruendo qualcosa di bello per la sua gloria, aprendo nuove opportunità, collegandomi ad una storia più grande, facendo cose che non possono essere immaginate né pensate.

Nel nostro lavoro che cambia, non voler essere al posto di Dio pensando di essere il dio di te stesso. E non pensare nemmeno che gli altri (la crisi economica, il datore di lavoro, la difficoltà di lavorare) siano il dio della storia. Sono tutti parti importanti ma secondarie di una storia nelle mani del Dio sovrano. Lascia che Dio sia Dio nella tua vita lavorativa. Fidati di Lui. Credi in Gesù Cristo che ha lavorato in modo perfetto e impara dalla sua ubbidienza, integrità e fiducia. Apriti al lavoro dello Spirito Santo che oggi sta lavorando affinché il tuo lavoro sia una fonte di benedizione per te e per gli altri. Anche se tu non sai tutto, Dio sa tutto e agisce per il tuo bene. Come Giuseppe parlò ai suoi fratelli confortandoli (50,21), voglia oggi la Parola di Dio parlare al tuo cuore sfidandoti a lavorare in modo riformato alla gloria di Dio!

-Leonardo De Chirico