Un'estate per ... dare un nuovo senso alla vita - Salmo 100
Predicatore: Leonardo De Chirico
Il salmo 100 si trova in una posizione particolare del salterio. Si trova ai 2/3 della raccolta dei salmi. Sappiamo che l’insieme dei salmi è diviso in cinque libri, ma la numerazione specifica fa sì che il 100 si collochi proprio sul confine dei 2/3. Già avanzato, non ancora concluso. E’ un’ottima posizione per guardare indietro avendo accumulato già esperienza e pratica della lettura dei salmi e per guardare in avanti al resto dei Salmi che ancora resta per completare la raccolta.
Il salmo 100 è un’occasione per farsi alcune domande di fondo. Avendo già vissuto chi 20, 30, 40, 50 anni di vita e avendo ancora 10, 20, 30, 40 anni di vita, qual è il senso della vita? E’ possibile guardare indietro e capire se c’è una traccia che dia senso al percorso? E’ possibile guardare avanti aspettandosi di scoprire qualcosa di importante che non abbiamo ancora capito? E’ possibile guardare in alto e ascoltare la voce di Dio che apra orizzonti a cui da soli non arriveremmo? Insomma, il salmo 100, posto com’è ai 2/3 del salterio, ci dice tre cose che possono trasformare la nostra vita.
1. Per gioire bisogna servire
Un antico e autorevole catechismo della fede evangelica (il Catechismo minore di Westminster del 1640) si apre con questa domanda programmatica: “quale è lo scopo principale della vita?”. La risposta è “lo scopo principale della vita è glorificare Dio e gioire in Lui per sempre”. Gioire in Dio per sempre è davvero lo scopo per cui viviamo. Da dove ha preso questa idea il catechismo? Anche dal salmo 100 che si apre con questo invito potente: “mandate grida di gioia al Signore” (v.1). Tutta la Bibbia è attraversata da questa chiamata originaria alla gioia e dalla prospettiva escatologica della gioia. All’inizio siamo stati creati per gioire in Dio e, alla fine, siamo destinati a gioire in Dio. Ora, adesso, nel nostro presente, tra la nostra vocazione originaria e la nostra attesa futura, il salmo ci dice: “gioite in Dio”! E ci dice di farlo non in modo impersonale, retorico, facendo finta di gioire per adempiere ad un dovere. Ci dice di gridare di gioia al Signore.
Non so quando è stata l’ultima volta che hai gridato di gioia. Forse hai gridato di dolore, o gridato di rabbia, o gridato dalla disperazione. O forse il tuo grido è rimasto strozzato in bocca, inespresso. Qui il grido è visto come un modo per esprimere la gioia in Dio. Davide sapeva cosa significava gridare di gioia (es.: 2 Samuele 6), lo sappiamo noi?
Qualcuno potrebbe dire: ma io non grido, non è appropriato, non è il mio carattere, non si deve urlare anche se di gioia. E allora, come esprimiamo la gioia con o senza grida? Il versetto 2 ci dà un’alternativa possibile. “Servite il Signore con gioia”. Per gioire, se non vuoi/puoi urlare, puoi e devi servire. Se lo fai con le grida o con le mani, non importa. La gioia deve manifestarsi. Paolo lo sapeva quando ricordava un detto di Gesù che aveva insegnato ai suoi che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere” (Atti 20,35).
Se non gridi, puoi almeno servire Dio e gli altri con gioia. Se non gridi e non servi, sei una persona triste. Oggi non so se vogliamo gridare di gioia, ma tutti possiamo servire con gioia. Si può gioire anche in silenzio, servendo non noi stessi, ma Dio il creatore della vita e, in Cristo Gesù, il Salvatore dei credenti. Per gioire si può gridare, ma si deve almeno servire. Se non c’è gioia nella tua vita è perché forse non servi Dio e gli altri e sei troppo concentrato su te stesso. La vita è stata creata per gioire e per scoprire la gioia bisogna servire. Abbiamo una città intorno da servire. Abbiamo una famiglia di amici e credenti da servire. Abbiamo un Dio sopra di noi e dentro di noi da servire con tutto noi stessi. Oggi dunque può essere il giorno della gioia se gridi o se servi. Non cercare gioia in succedanei inutili: gioisci in Dio!
2. Per riconoscere bisogna appartenere
Il salmo dice che per vivere bisogna riconoscere qualcuno. “Riconoscete che il Signore è Dio” (v.3). Non possiamo vivere soli, chiusi in noi stessi, non riconoscendo altri da noi. La nostra vita è definita dalla relazione con Dio che va riconosciuta. Se lo riconosciamo, ecco che scopriamo un rapporto vitale che dà un indirizzo a quello che facciamo. La Bibbia dice che questa relazione è stabilita in quanto Dio è creatore e ha impresso la sua immagine in ognuno di noi. Il peccato ha rotto questa relazione, portando come conseguenza il nostro disorientamento. E’ come se ci fossimo persi e come se la vita fosse diventata un labirinto.
Perdendo la relazione con Dio, abbiamo perso il senso di orientamento nel mondo e ci siamo persi. Dio Padre ha preso l’iniziativa e ha mandato Dio Figlio per ristabilire questa relazione. Grazie all’opera di Cristo il guasto è stato riparato e possiamo di nuovo riconoscerlo. Gesù ha “riconciliato” la relazione (2 Corinzi 5,19). Non basta riconoscere sé stessi. Anzi, se non crediamo in Dio, non riconosciamo neanche noi stessi. Siamo stranieri a noi stessi e agli altri.
Se, mediante la fede in Cristo, riconosciamo di essere creature di Dio e bisognose della relazione con Lui, ecco che riconosciamo anche noi stessi e gli altri: sappiamo di appartenere ad un popolo, addirittura ad un gregge di cui Dio ha cura (v.3b). Quando la relazione con Dio è ristabilita, le relazioni con gli altri sono ricucite. Siamo figli di Dio e sorelle e fratelli in una famiglia. Quando la relazione primaria con Dio è attiva, tutte le altre relazioni sono pulsanti. Se la relazione con Dio è ostruita, potremo sforzarci in ogni modo, ma rimarremo sempre stranieri a noi stessi e agli altri, anche se avremo mille like sul nostro profilo. Se riconosciamo Dio, il Padre sarà il nostro Padre, Gesù Cristo sarà il nostro Pastore, lo Spirito Santo sarà il nostro consolatore. La chiesa sarà la nostra famiglia.
La mappa della vita è ricostruita e possiamo affrontare tutte le sfide della vita senza perderci e senza mai essere soli. Solo se riconosci Dio grazie alla relazione ristabilita da Gesù Cristo puoi anche appartenere alla sua famiglia.
3. Per vivere bisogna adorare
L’ultima sezione del salmo invita ad entrare in un luogo accessibile da porte aperte e che conduce in cortili spaziosi (v.4). Può essere l’immagine del tempio di Gerusalemme, il luogo che era il centro del culto all’Iddio d’Israele e presso cui tutti gli ebrei dovevano recarsi. Quel luogo era solo una figura del vero tempio, il Signore Gesù, che è la persona in cui incontriamo Dio (Giovanni 2,21).
Cosa si fa nel tempio? Si ringrazia, si loda, si celebra, si benedice … insomma si adora Dio uno e trino, Dio buono e fedele (v.5). Il cammino della vita trova nella gioia il suo motivo iniziale e finale, trova nella relazione con Dio la chiave per ritrovarsi, trova nell’appartenenza alla chiesa il senso della comunità e nell’adorazione il gusto pieno della vita.
Siamo stati creati per adorare. In tutto quello che facciamo noi adoriamo qualcosa o qualcuno. Se adoriamo Dio la vita si accende. Se non lo adoriamo rimane spenta. Se adoriamo Dio la vita si colora. Se non lo adoriamo rimane in bianco e nero. Se adoriamo Dio, si attiva la gioia e la fiducia. Se adoriamo altri, si accumula confusione e smarrimento.
Ecco, il salmo 100 è un invito a ritrovare il senso della vita. Per gioire bisogna servire. Per riconoscere bisogna appartenere. Per vivere bisogna adorare. Oggi è il giorno da non far passare prima di aver ritrovato la direzione del tuo cammino.
Gesù dice: “Io sono la via, la verità e la vita” (Giovanni 14,6). Nessuno trova il Padre se non per mezzo di Lui. Puoi far tuo il salmo 100 o vuoi rimanere nel tuo labirinto che ti porterà a perderti per sempre?