“Eccomi”: pronti a fare scelte forti? - 1 Samuele 3,1-21
Predicatore: Leonardo De Chirico
Fast track, fast web, fast food, fast mail, fast delivery. La nostra cultura è attratta dalla velocità e sempre più abituata ad avere tutto e subito, qui e ora. Quando entriamo nel mondo della Bibbia, troviamo che i tempi in cui accadono le cose importanti sono lenti, distesi, hanno un passo diverso. Non che Dio non possa agire in modo istantaneo: di fatto, però, è che molte storie hanno una lunga gestazione e passano attraverso percorsi di preparazione. Non pensiamo che quello che Dio fa vicino e lontano da noi debba necessariamente seguire i tempi “veloci” del nostro tempo. Dio lavora sui tempi lunghi, così come è sovrano su quelli stretti.
Ricapitoliamo la storia sin qui. Il libro inizia con una donna, Anna, che dice “no”. Non è possibile che le cose vadano avanti in questo modo: senza speranza, senza futuro, senza visione. Anna prega affinché Dio le dia un figlio per essere dedicato al servizio di Dio. Dio la esaudisce: il figlio arriva e lei erompe in un canto gioioso che celebra la grandezza di Dio. Dio sovverte gli schemi umani e ha un disegno grande che va oltre le nostre miserie. Nel frattempo apparentemente le cose vanno avanti come sempre: c’è corruzione, pesantezza, ipocrisia. E arriviamo a questo capitolo 3 che ci mette di fronte a tre domande: 1. Siamo pronti ad una stagione nuova? Siamo pronti a dare una risposta radicale? Siamo pronti a dire un messaggio scomodo?
1. Pronti ad una stagione nuova?
Un vecchio e un bambino sono i protagonisti di questo capitolo. Un vecchio che sta per morire, un bambino che sta per fiorire. Una generazione che passa, una nuova che arriva. Da un lato, Eli rappresenta il vecchio mondo che sta per tramontare, dall’altro Samuele è il nuovo tempo che sta per iniziare. La scena si svolge al buio e nel silenzio. E’ notte, è buio, a testimonianza dell’età cupa e del tempo difficile. Eli è quasi cieco, non vede quasi più. Non sta quasi più in piedi; non ha più le forze di reggersi. E’ vecchio, è sempre steso, senza più prospettive se non quelle di attendere la morte. Tutto è decadente, declinante, in una parabola discendente irreversibile. La parola del Signore è rara: nessuno più la sente, nessuno più la riceve. Un mondo senza la parola di Dio è un mondo crepuscolare, che sta per morire. Non è cambiato molto dal tempo in cui Anna aveva detto “no” e aveva iniziato a pregare. Tutto è ancor più invecchiato e divento ancor più triste.
Eppure, in questo scenario buio, ci sono dei segni di cambiamento e di speranza. La lampada non è ancora spenta (v. 3). E’ buio ma c’è una lucina residua che illumina la stanza. Eli è vecchio e non ha molto da vivere, ma c’è un giovane che irrompe e che dice che c’è un futuro. La parola di Dio è rara, ma qui Dio riprende a parlare, a chiamare, ad interpellare: tre volte quella notte, seguito da un messaggio nuovo. Il tramonto di un tempo è evidente, ma anche l’alba di un nuovo tempo è alle porte. Samuele sta per pretendere le consegne da Eli. Il vecchio finisce, il nuovo avanza. Il “no” con cui Anna ha iniziato il libro sta per compiersi; il “sì” di Anna alla volontà di Dio sta per schiudersi.
Questa transizione tra tempi diversi è comune nel modo in cui Dio agisce. Ad esempio, nella tragedia della schiavitù d’Egitto, nasce Mosè che libererà il popolo dalla schiavitù. In mezzo a lamentele e pessimismi, sorge Giosuè che guiderà il popolo nella conquista della terra. Nella tragedia della storia, un figlio è dato (Isaia 9,5) che porta ad una svolta: il Figlio di Dio, il Signore Gesù, che entra nella storia da bambino e porta la speranza al mondo intero immerso nelle tenebre. Quello che accade in questo capitolo 3: un bambino che prende le consegne da un vecchio anticipa quello che sarebbe successo con la nascita di Gesù Cristo. Un bambino si carica della responsabilità di inaugurare un tempo nuovo, il tempo nuovo della grazia di Dio per un mondo immerso nelle tenebre del peccato.
Siamo noi pronti ad un tempo nuovo? Certamente, il mondo intorno a noi è vecchio, stanco, cieco, perso nella sua ipocrisia e malvagità. Roma è come Eli: vecchia, coricata, affaticata, senza prospettiva. Ma Dio lascia sempre una lucina accesa: è la luce della sua Parola che illumina anche questo posto buio. Dio parla a Roma tramite uomini e donne consacrati e aperti al futuro come Samuele. Dio non ha abbandonato del tutto il suo popolo, Dio non ha abbandonato del tutto questo mondo, Dio non ha abbandonato del tutto questa città. Dio può essere ancora trovato, conosciuto. Dunque, per quanto umanamente impossibile sia pensare ad un cambiamento, questo non è il tempo del pessimismo, della rassegnazione: siamo pronti a vivere questo nuovo tempo?
2. Pronti ad una risposta radicale?
Al tempo di Eli, la parola di Dio era rara, ma questo capitolo ci dice che ora Dio inizia di nuovo a rivelarsi. La voce di Dio torna a farsi udire e questo inizia a fare la differenza. Il cambiamento non arriva con la ricchezza, con un esercito, con la tecnologia: arriva con la parola di Dio. E’ la parola di Dio che volta pagina nella storia ed è la parola di Dio che introduce il vero cambiamento. Lo ha fatto nella storia chiamando Abramo, parlando a Mosè, a Davide, ai profeti, e al culmine diventando uomo nella persona di Gesù: la parola fatta carne (Giovanni 1,14). La parola ha fatto irruzione nella storia nel corso della Riforma protestante e nei risvegli evangelici dei secoli successivi. E’ la Parola a fare sempre la differenza e sarà sempre la sua Parola lo strumento che Dio userà anche per dare una svolta alla nostra vita e a questa città. Chiamando Samuele, Dio lo costituisce profeta: annunciatore, predicatore, voce della sua parola. Chiamando ognuno di noi, Dio ci costituisce come popolo profetico per annunciare le grandi cose che Dio ha fatto per noi.
Dio parla e parla chiamando Samuele. Lo chiama una volta, due volte, tre volte. Samuele non capisce all’inizio. Sente una voce, ma non la riconosce. Infatti pensa che sia Eli a chiamarlo e quindi si alza per andare da lui per chiedere cosa voglia. All’inizio la voce di Dio è per Samuele una voce qualunque, indistinguibile dalle altre. Quando Eli capisce che è Dio che sta chiamando Samuele, lo istruisce ad accogliere quella parola di Dio in quanto proveniente da Dio stesso. E infatti, alla terza chiamata, Samuele risponde: “Parla, Signore, perché il tuo servo ascolta” (v. 10). Questa è una risposta davvero radicale. Samuele riconosce il Signore, lo confessa come Dio dell’alleanza, lo onora come Dio della storia e del suo popolo e della sua vita: Signore! Signore, sono qui per ascoltare: parla, voglio stare in silenzio io per ascoltare te. Voglio che la mia parola si acquieti affinché la tua Parola echeggi.
Il profeta è prima di tutto un ascoltatore: prima della parola, il profeta deve esercitare l’udito. Se non ascolta la parola di Dio, non può parlare per Dio. Prima della sua parola, il profeta deve assimilare la Parola di Dio. Prima che trasmettitore, deve essere ricevente. Prima di parlare, deve ascoltare. Prima di porsi davanti agli altri, deve imparare a stare davanti a Dio. Eli non ha più una parola da dire: Samuele ha una parola di Dio da trasmettere.
Puoi dire di te: “Eccomi Signore, parla che la tua serva ascolta?” Questa è la risposta decisiva della vita. Sono qui, pronto, disponibile: parla e dammi orecchie per ascoltare! Se questa è la risposta della tua vita, da questa risposta Dio può costruire un ministero, un servizio, una chiamata profetica. La chiesa è in genere un popolo profetico scarso e scadente perché non ascolta la Parola di Dio. Vuole dire, cantare, suonare, twittare, facebookare, instagrammare, ma non vuole ascoltare prima. Puoi dire con Samuele: “parla Signore perché il tuo servo ascolta”?
3. Pronti ad un messaggio scomodo?
Qual è il messaggio che Dio comunica a Samuele? Un messaggio carino, cool, simpatico? Un messaggio accomodante? Non proprio. Il messaggio è duro, violento, difficile da accettare, ma è la Parola di Dio per quella generazione. Si tratta di un messaggio di giudizio contro il peccato diffuso e, nello specifico, contro la casa di Eli (v. 11-14). E’ una cattiva notizia che, di primo acchito, non farà piacere a nessuno. Dio avrebbe giudicato i responsabili di quella situazione di declino, Dio avrebbe giudicato la disubbidienza di coloro che avrebbero dovuto essere un esempio per gli altri.
Il messaggio è talmente forte che Samuele è riluttante a riferirlo (v. 15). Lo mette a disagio. E’ scomodo, sconveniente, imbarazzante. E poi un bambino con quale autorevolezza propria avrebbe potuto dirlo? Il disagio rispetto al messaggio che Dio comunica è proprio di ogni profeta (Geremia 1,4-10; Ezechiele 24,15-24). Può e deve essere anche nostro come popolo di profeti. Infatti, la buona notizia di Dio che Gesù Cristo ha preso il posto del peccatore credente è tale se è preceduta da una cattiva notizia: quella del nostro peccato contro cui Dio esegue la sua giustizia. La salvezza di Dio è tale se è preceduta dall’annuncio del giudizio di Dio. L’amore di Dio è tale se è accompagnato dall’annuncio della santità di Dio e della sua giustizia. E’ il nostro messaggio fedele alla Parola di Dio? Quando l’evangelo ci mette in posizioni scomode, politicamente scorrette, difficili da sostenere pubblicamente, allora non è il vero evangelo.
Gesù Cristo stesso, il profeta per eccellenza, ha predicato il giudizio di Dio e la salvezza di Dio. E’ sbagliato dire che Lui abbia predicato solo l’amore. Non è il Gesù dei vangeli. Lui, oltre ad essere profeta, è stato anche il Sacerdote per eccellenza. Si è caricato delle conseguenze del giudizio di Dio sul peccato e l’ha pagato al posto di chi crede. Per questo noi abbiamo un messaggio di giudizio che è anche di salvezza. Giudizio per chi persiste nello stare nella penombra di una vita spenta e lontana da Dio; salvezza per chi risponde all’appello di Dio di confessare i propri peccati e credere in Gesù Cristo. Di questo messaggio Roma ha bisogno per non continuare il declino ed aprirsi ad un tempo nuovo. Siamo pronti a diffonderlo e a viverlo?