La priorità del regno - Luca 14,25-35

Predicatore: Davide Ibrahim
Roma è una grande città e come ogni altra grande città in Italia e nel mondo è luogo di cantieri aperti per la costruzione di nuovi edifici e infrastrutture. Nell’ultimo decennio, ad esempio, sono stati inaugurati e ultimati la linea C della metropolitana (quasi), il Centro congressi La Nuvola (Eur), il ponte della musica (Flaminio) e più recentemente il parco Marconi (Marconi/San Paolo). Sono sicuro che a seconda della zona di Roma in cui abitate, abbiate notato nuove costruzioni e l’apertura di nuovi cantieri. Seppur con tanti rallentamenti sulla tabella di marcia e con meno cantieri rispetto a quelli che dovrebbero esserci, è sempre soddisfacente vedere nella nostra città progetti finiti, efficienti e funzionali.

Purtroppo, però, a Roma ci sono anche progetti interrotti. Tra tutti, quello che viene subito in mente è la città dello Sport a Tor Vergata. Un bellissimo progetto pensato dall’architetto Santiago Calatrava per i campionati mondiali di nuoto del 2009. Data la struttura particolare e complessa, gli addetti ai lavori non hanno calcolato sufficientemente bene né il tempo né il costo per la sua realizzazione. I costi sono aumentati a dismisura e i tempi si sono prolungati oltre la scadenza. La città dello Sport non è stata utilizzata per il suo fine, è rimasta incompiuta e ora a distanza di 14 anni è abbandonata e in rovina. Non vale più niente: o si investono altri soldi per rinnovarla e ultimarla o dovrà essere demolita.

Per non rischiare di avere al suo seguito discepoli più simili alla città dello sport e meno ai progetti utili ed efficienti di Roma, il Signore Gesù mette allerta la “molta gente che lo seguiva” (v. 25). Molti avrebbero potuto fraintendere le parole della parabola dette prima: “Va’ presto per le piazze e per le vie della città, e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi”. (v. 21). Come un buon e saggio ingegnere e capo cantiere, Gesù ha voluto fin da subito mettere in chiaro cosa vuol dire seguirlo ed essere veramente suoi discepoli. Ha invitato coloro che lo seguivano a riflettere bene e seriamente sulle implicazioni del suo discepolato. Chi non era veramente suo discepolo, lo avrebbe abbandonato fin da subito, chi invece lo era veramente lo avrebbe continuato a seguire tenendo presente le conseguenze. Oggi la Parola ci invita a fermarci e ci chiede di riflettere sulle implicazioni derivanti dall’essere veri discepoli di Cristo. Ci dice fermati! Stop! ALT! e ci pone delle domande a cui rispondere sinceramente.

1.    ALT! Hai considerato la clausola?
Seguire Gesù non vuol dire aggiungere un tassello a un puzzle quasi completo; non significa nemmeno abbellire una casa già costruita o spargere un po’ di zucchero a velo su una torta appena sfornata. Gesù non si aspetta di essere un accessorio posizionato al nostro fianco, a fianco della nostra famiglia, del nostro lavoro, dei nostri studi, delle nostre relazioni o delle altre cose che riteniamo importanti.

Al contrario, egli esige essere Signore sulla nostra intera vita, in ogni suo ambito: dal lavoro alle relazioni che occupano la maggior parte delle nostre giornate a quegli aspetti che riteniamo più irrisori e meno importanti. Essere discepoli del Dio trino e quindi amarlo, desiderare piacergli e fare la sua volontà deve essere così marcato e presente nel nostro modo di parlare, pensare, lavorare, studiare e prendere decisioni che a confronto l’amore che abbiamo per i nostri cari e per la nostra stessa vita non potranno che sembrare odio (v. 26).  

La signoria di Cristo su ogni ambito della nostra vita non è una clausola che subentra in un secondo momento del cammino cristiano o una postilla scritta in maniera illeggibile alla fine di un contratto. Questa clausola è il fondamento e l’essenza della vita cristiana. Essere discepoli di Cristo e seguirlo vuol dire riconoscere dalla conversione in poi che non siamo più noi che viviamo ma che è lui che vive in noi (Ef 1:21). Non siamo più al comando della nostra vita, ma siamo interamente sottomessi a colui che ci ha chiamati a sé. Egli esige legittimamente essere il primo in ogni cosa affinché tutto ciò che siamo e viviamo sia plasmato e riformato secondo il suo Vangelo e vissuto pienamente nella vera vita, verità e libertà. Non si tratta di polarizzare due sfere di esistenza: da una parte il mio mondo dove amo me stesso, i miei cari e il mio lavoro e faccio quello che voglio e dall’altra il mondo di Dio. Il vangelo di Cristo ci chiama a vivere, pensare, lavorare e agire interamente alla luce della signoria di Dio. Ci chiama ad amare Cristo e il suo vangelo più di ogni altra cosa, affinché la vita, le  relazioni, il lavoro, lo studio, la cultura acquisiscano una nuova prospettiva e un nuovo fine in lui. 

Stai cercando con l’aiuto della grazia di Dio di vivere l’interezza della tua vita alla luce della signoria di Cristo o ci sono ancora aree della tua vita che non sono state ancora toccate da questa clausola fondativa?

2.    ALT! Hai calcolato il costo?
Di solito siamo prudenti quando si tratta di fare scelte importanti nella vita, considerando benefici e rischi: affittare o comprare una casa, cambiare o accettare un lavoro, trasferirci in un’altra città o in un altro paese, cominciare l’università, sposarci, avere figli. Quanto più dovremmo essere assennati, attenti e intenzionali quando diventiamo discepoli di Cristo. Egli esige essere Signore della nostra vita affinché tutto il resto assuma il senso corretto e le decisioni vengano prese alla luce del suo discepolato! La vera vita al seguito di Cristo ha come fondamento e inizio lui stesso, la pietra angolare e vivente (1 Pt 2:4, 7). È solamente sulla stabilità di Cristo che possiamo costruire la torre della nostra vita essendo ritenuti da Dio “pietre viventi […] edificati per formare una casa spirituale, un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali, graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2: 5). Quando abbiamo creduto siamo stati santificati per mezzo dello Spirito Santo e al contempo abbiamo cominciato un cammino di santificazione. Il cantiere della nostra vita è stato aperto, è ancora aperto e continuerà ad esserlo fino a quando non incontreremo il Signore faccia a faccia. Come un edificio siamo stati inaugurati in Cristo e già da ora siamo chiamati a imitarlo e a ubbidirgli facendo maturare i frutti dello Spirito e mettendo a disposizione i nostri doni specifici per la gloria di Dio e l’avanzamento della sua chiesa, attraverso le nostre vite, i nostri lavori e le nostre relazioni.  

La nostra santificazione è un processo che implica morire a sé stessi (v. 33). Il capo del nostro cantiere in costruzione non siamo noi ma il Signore Gesù. La nostra vita non è più guidata dal nostro io ma da Dio. Gesù Cristo è l’esempio perfetto di cosa vuol dire morire a sé stessi. Egli ha calcolato molto bene ciò che avrebbe significato ubbidire al Padre nella missione che gli era stata affidata: “Egli umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome” (Fl 2: 8-9). Se lui, Dio incarnato non ha considerato l’essere uguale a Dio Padre qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, quanto più noi dovremmo morire a noi stessi per amore e per la gloria del Dio Trino! Gesù Cristo è stato tradito, abbandonato, deriso, malmenato e ha sopportato la morte di croce “per la gioia che gli era posta dinnanzi […] e si è seduto alla destra del trono di Dio” (Eb 12:3). Così come Cristo ha sopportato il suo sacrifico per amore del Padre e per la gloria che lo attendeva, anche noi essendo uniti a Cristo possiamo essere sereni nell’afflizione “perché come abbondano in noi le sofferenze di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” (2 Co 1:5). Morire a sé stessi e vivere sotto la signoria di Cristo vuol dire pensare, agire e fare scelte quotidiane (lavoro e relazioni) che non sono guidate dai nostri desideri peccaminosi ma dal volere perfetto di Dio chiaramente esposto nella sua Parola. Il paradosso del Vangelo di Cristo è che “chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi avrà perduto la propria vita per amor mio, la salverà” (Lc 9, 24). Non si tratta di vivere una vita misera e indecente unicamente aspettando ciò che sarà, ma di vivere già da oggi, nonostante le inevitabili sofferenze e difficoltà, sovranamente volute per la nostra santificazione e la gloria di Dio, una vita ricca e benedetta rigenerata dallo Spirito Santo che ha nuove prospettive e veri propositi in Cristo!

Se la prima parabola mostra che bisogna tenere presente cosa implica seguire Cristo, la seconda ci mostra che non si può essere neutrali davanti a Dio. Il re con i ventimila uomini avanza e nel frattempo il re con i diecimila soldati deve fare scelta: attaccare sapendo che perderà malamente o mandare un ambasciatore per chiedere la pace. Non puoi essere neutrale davanti a Dio. Non c’è una via di mezzo: o sei per lui o contro lui, o sei sottomesso al Signore della vita o sei soggiogato dal signore delle tenebre, o sei vincitore o perdente, o continui a persistere nel peccato o chiedi perdono per aver disubbidito a Dio riconoscendo in Cristo Gesù il tuo Salvatore e Signore. Se oggi ti immedesimi di più nel re in guerra e non nel costruttore che ha già come fondamento Cristo, ti invito a fare una scelta tenendo bene in conto cosa implica essere vero discepolo di Dio.

3.    ALT! Hai assimilato il rischio?
Il rischio di ogni vero credente è di diventare come la città dello sport di Tor Vergata: cominciata e mai finita. Se non teniamo bene in conto cosa vuol dire essere discepoli di Cristo, davanti alle difficoltà, alle tentazioni, ai dubbi, alle persecuzioni, alle ingiustizie, alle scelte importanti, abbandoneremo il cantiere che Cristo ha già inaugurato. Le fondamenta non potranno essere rimosse e smosse, ma tutto il resto sarà interrotto e non fiorirà. Rischiamo di essere come il seme soffocato dalle spine: “quello che è caduto tra le spine sono coloro che ascoltano, ma se ne vanno e restano soffocati dalle preoccupazioni, dalle ricchezze, dai piaceri della vita, e non arrivano a maturità” (Lc 8, 14). Il seme continua ad essere lì, ma non matura. Il sale continua ad essere sale anche senza la sua salinità, ma serve a poco. La candela continua ad essere candela, ma se è nascosta sotto al candelabro non potrà fare la differenza in una stanza buia. Il cantiere interrotto della città dello sport non ha lasciato una buona testimonianza di Roma e i cittadini hanno deriso la gestione del progetto. Non rischiamo anche noi di lasciare una cattiva testimonianza di Cristo nella chiesa e al di fuori di essa quando non perseveriamo nella fede donata da Dio e facciamo maturare i suoi frutti?

Nonostante i rallentamenti inevitabili, le difficoltà che si riscontrano quando si costruisce un edificio, puoi affermare che il cantiere aperto dal Signore sta progredendo mattone dopo mattone? Forse il rallentamento è dovuto a un peccato che non è stato confessato, a una ribellione del cuore che sta arrecando decisioni dannose, alla mancanza di relazione personale con il Signore, a una vita cristiana vissuta individualisticamente e non collettivamente all’interno della chiesa e con la chiesa locale. Ti invito a meditare davanti al Signore e considerare in quale stadio è il cantiere che Dio ha già inaugurato nella tua vita. È fermo? Rallentato? Abbandonato?  

La buona notizia è che sei già in Cristo, colui che è al contempo fondamento e capo cantiere, e perciò il cantiere dispone di tutto ciò che necessiti per riprendere e continuare a pieno regime i lavori attraverso l’opera dello Spirito Santo. La Parola di Dio e la preghiera sono gli attrezzi necessari; i doni dello Spirito sono i materiali da edificare; la chiesa è il complesso comunitario dove la tua torre è circondata da altre torri in via di costruzione. Le torri sono sicuramente di diversi colori, dimensioni e forme, ma si aiutano a vicenda e sostengono reciprocamente perché accomunate dal desiderio di progredire per la gloria di Dio e l’avanzamento del suo regno qui a Roma e in Italia.  

Riprendi in mano ciò che ti è stato donato e per grazia di Dio egli condurrà a compimento la sua opera già iniziata in noi fino al giorno di Cristo Gesù (Fil 1:16). La mia preghiera e augurio è che un giorno all’unisono potremo dire: “Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conversato fede” (2 Tm 4:7). Una fede viva e attiva, fruttuosa ed edificante, che ha considerato la clausola, calcolato il costo e assimilato il rischio di essere veri discepoli di Cristo.


Grazie a tutti coloro che sostengono la Chiesa Breccia di Roma con le loro offerte.