Dentro o fuori dal Regno - Luca 16,19-31

Predicatore: Davide Ibrahim
Gli italiani hanno un’idea particolare della morte. Nonostante molti si ritengano atei, il concetto dell’aldilà continua ad essere presente nel loro immaginario. Quando care persone muoiono, le si pensa subito in paradiso a guardarci da lassù. Quando celebrità della musica o dello sport esalano l’ultimo respiro, le si immagina immediatamente in paradiso a continuare a fare quelle attività che le avevano rese famose. Dopo la morte di Franco Battiato e di Diego Maradona, avrete sicuramente sentito dire o letto sui social: “A presto, Franco, insegna agli angeli a cantare” o “Arrivederci Diego, ti immagino già sulle nuvole a palleggiare con gli angeli”. Adesso con la vittoria dello scudetto da parte del Napoli, i tifosi napoletani continuano a dire “Diego sta festeggiando lo scudetto con noi da lassù”.

Questa reazione al lutto rivela che le persone hanno qualche innato presentimento che ci sia qualcosa dopo la morte. Detestano il pensiero che tutto finisca con l’ultimo respiro e vogliono aggrapparsi a qualche speranza futura. Nonostante il pensiero di una vita dopo la morte sia biblicamente fondato, le persone pensano solamente a una destinazione celeste per se stesse e i loro cari. Dato che si sono comportate “abbastanza bene” e non hanno commesso crimini terrificanti, non potranno che ritrovarsi in un posto idilliaco e gioioso.

Questo passo invece ci mostra che la realtà è ben diversa rispetto a ciò che la maggior parte delle persone pensa. Ci porta a riflettere sulla giustizia e santità di Dio e sulla peccaminosità e responsabilità dell’uomo. Solamente così avremo una giusta e realistica prospettiva biblica sulla vita e ciò che ci aspetta dopo la morte. Il passo di oggi ci invita a riflettere davanti a Dio su come utilizzare le ricchezze che ci sono state benevolmente date dal Signore, a ricordare ciò che aspetta il genere umano dopo la morte e ad ascoltare attentamente la voce del Signore rivelata nella sua Parola sufficiente.

1.    Usa la ricchezza che ti è data
Il Signore Gesù racconta la storia di due persone: un ricco di cui non conosciamo il nome e un povero, chiamato Lazzaro. Il ricco dava sfoggio della sua ricchezza vestendosi in modo da attirare gli sguardi (“porpora e bisso” erano beni di pregio, livello “Via dei condotti”) e gozzovigliava giornalmente (“ogni giorno si divertiva splendidamente”). Fuori dalla porta di casa sua, invece, c’era un uomo in condizioni completamente opposte. Lazzaro era povero, affamato e sofferente. L’unica cosa che desiderava era mangiare le briciole che cadevano dalla tavola imbandita del ricco.

Nonostante la loro condizione simmetricamente opposta, entrambi sono stati accomunati dalla morte. Nessuno di noi può sfuggire ad essa, prima o poi moriremo tutti: ricchi e poveri, alti e bassi, biondi e mori, uomini e donne. Dopo la loro morte, i due protagonisti si ritrovano in luoghi diversi. Lazzaro è alla presenza di Dio, dato che è in compagnia di Abraamo, il padre di tutti coloro che credono (Cfr. Rm 4,11), mentre il ricco è in un luogo di tormenti dovuti alla lontananza e separazione da Dio. Paradossalmente, il ricco e Lazzaro si sono scambiati i ruoli che avevano in vita: il ricco ora sta soffrendo tremendamente l’eterna separazione da Dio, mentre Lazzaro si trova in un luogo di pura gioia e serenità, dove non c’è pianto e stridor di denti.

La loro destinazione dopo la morte getta luce sulla condizione del loro cuore quando erano ancora vivi. Gesù voleva rimarcare quello che aveva appena detto: “Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l’uno e amerà l’altro, o avrà riguardo per l’uno e disprezzo per l’altro. Voi non potete servire Dio e Mammona” (v. 13). Il problema del ricco non era la sua ricchezza. Sappiamo che molti altri personaggi biblici erano ricchi (Giobbe, Giuseppe, Davide e lo stesso Abraamo). Il suo problema era il modo in cui utilizzava i soldi perché esso rivelava la corruzione del suo cuore e la sua totale sottomissione a Mammona. Egli impersonificava “I farisei che amavano il denaro” (v. 14). Era soggiogato dalla ricchezza: amava denaro, lodava denaro, adorava denaro, pensava denaro, sfoggiava denaro. Il modo in cui utilizzava la sua ricchezza, mostrava chiaramente la condizione del suo cuore.

Il ricco aveva riposto la sua fede nel denaro, Lazzaro nel Dio rivelato nelle Scritture. Il ricco era ricco davanti a sé stesso, ma povero davanti a Dio. Lazzaro era povero davanti alle persone, ma ricco davanti a Dio (Cfr. Lc 12, 21). Dopo la morte, Lazzaro ha beneficiato della ricchezza inestinguibile elargita da Dio in Cristo, mentre il bisso, la porpora e il divertimento giornaliero non hanno impedito al ricco di essere eternamente separato da colui che l’aveva benedetto con tanta ricchezza.

Pur avendo Lazzaro ai piedi della sua porta e vedendolo ogni giorno, egli non ha avuto benevolenza nei suoi confronti. Amare Dio e godere di lui, e di conseguenza amare il prossimo è uno dei tratti distintivi del vero discepolo di Cristo: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Il ricco aveva chiaramente dimostrato di non avere amore per il suo prossimo e quindi di non essere un vero discepolo di Dio. Se il suo tesoro fosse stato amare Dio e fare la sua volontà, avrebbe agito diversamente con la ricchezza data.

Per partecipare all’incoronazione del re Carlo, avvenuta ieri, c’era bisogno di essere reali, presidenti, donne e uomini famosi, ricchi e facoltosi. Per entrare nel regno di Dio, il Re dei re, c’è bisogno di amare innanzitutto lui e dopodiché amare il prossimo come noi stessi.

Il modo in cui utilizziamo le nostre ricchezze e risorse rivela tanto del nostro cuore. Che siano denaro, beni, doni, talenti e capacità personali, in che modo utilizzi ciò che il Signore ti ha benevolmente donato? Usi le tue ricchezze e risorse, di qualunque tipo esse siano, per dare egoisticamente sfoggio alla tua persona? La tua soddisfazione assoluta è nei tuoi beni e nelle tue risorse? O usi ciò che ti è stato dato in modo diaconale per godere di Dio, glorificare il suo nome, amandolo e di conseguenza amando il prossimo?  

2.    Ricorda la voragine che separa
Il ricco si trova in una condizione tormentata e sofferente. Chiede ad Abraamo un po’ di sollievo. Non può andare da loro e viceversa. Quel che è fatto è fatto. Quel sollievo che il ricco chiede disperatamente non può essere più dato. Le cose potevano andare diversamente in vita, ma dopo la morte la nostra condizione non potrà più essere cambiata. Non c’è nessun purgatorio, nessuna indulgenza o preghiera per i morti, nessuna scala fatta in ginocchia che può fare la differenza. C’è una grossa voragine che separa e non c’è nessun ponte dopo la morte che collega le due parti. Dopo la morte, così come in vita, sono due le condizioni: eternamente con Dio o eternamente separati da Dio.

Al contrario del ricco, riconosciamo la nostra condizione e accettiamo il giudizio di Dio? Riconosciamo, in quanto peccatori, di aver giustamente meritato il tormento e la piena separazione dal Dio tre volte santo? Noi ora figli di Dio, eravamo eternamente separati dal Signore, ma gloria al Dio perché “ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio”. È in lui e solamente in lui che “abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati” (Cl 1, 13-14). L’unico mediatore tra la morte e la vita è Cristo. L’unico ponte di salvezza tra le tenebre e la luce è il Figlio di Dio che abbiamo in vita.

Il Signore ci ha chiamati a proclamare la verità del Vangelo ai nostri familiari, amici, colleghi prima che sia troppo tardi. Avendo in mente la destinazione finale e la voragine che separa, cogliamo le occasioni messe a disposizione dal Signore per condividere ai nostri conoscenti che essi hanno rotto il patto con Dio per il loro peccato e che il patto è stato ristabilito attraverso il sangue di Cristo? Ricordiamoci che noi stessi siamo venuti a Cristo grazie a persone che il Signore ha messo nella nostra vita. Esse, per la gloria del Signore e per il nostro bene, presente e futuro, hanno gettato luce sul nostro peccato e ci hanno annunziato la giustificazione in Cristo Gesù.  

Abbiamo fatto nostro l’insegnamento di Gesù di farci “amici con le ricchezze ingiuste; perché quando esse verranno a mancare, quelli vi ricevano nelle dimore eterne?” (v. 9). In quanto figli di Dio, abbiamo un grande privilegio, ma anche un’importante responsabilità. Siamo stati chiamati ad essere ambasciatori del Signore e proclamare il vangelo di Cristo e, se Dio vorrà, testimoniare di vite che dalla morte passano alla vera vita, dalle tenebre passano alla luce, finché ci sarà ancora la possibilità che avvenga. Terrai a mente la voragine che separa, per annunziare con più intenzionalità il Vangelo di Cristo?

3.    Ascolta la voce che parla
Al ricco viene negata la possibilità di alleviare il suo tormento. Solo allora mostra altruismo nei confronti dei suoi parenti. Chiede ad Abraamo un’ultima richiesta, cioè quella di mandare Lazzaro ad avvertire i suoi fratelli. Vuole dire loro che se non si ravvedranno dei loro peccati, patiranno anche loro dopo la morte il tormento che lui stesso stava sperimentando. Così come i farisei avevano chiesto un segno a Gesù e lui aveva risposto indirizzandoli alla Parola che parlava di lui, così Abraamo rifiuta la richiesta del ricco dicendogli che i suoi fratelli avevano a disposizione la Parola di Dio. Quella dovevano leggere e ascoltare per comprendere di essere venuti meno al patto stabilito da Dio, di doversi pentire del loro peccato e sottomettersi al loro Signore, amandolo con tutto il cuore, la mente e le forze, e amando il loro prossimo come se stessi.

Dio avrebbe certamente potuto risuscitare Lazzaro e mandarlo ad avvertire i fratelli del ricco, ma nemmeno un così grande evento avrebbe fatto la differenza: “se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita” (v. 31)

I farisei continuarono a non credere alle parole di Gesù, nonostante fossero stupiti della sua autorità e fossero stati testimoni delle sue guarigioni miracolose. Se non è Dio che dà la fede, anche il miracolo più straordinario non farà la differenza. Il Signore Gesù è resuscitato dai morti ed è asceso al cielo, ma anche al suo tempo molti non hanno creduto. Se il Signore non apre gli occhi per mezzo dello Spirito Santo di fronte al peccato e trasforma i cuori di pietra in cuori di carne, niente e nessuno potrà fare la differenza perché è solamente Cristo che crea la fede e la rende perfetta (Eb 12, 1). Siamo sì chiamati a testimoniare del vangelo con le nostre parole e azioni, ma dobbiamo ricordarci nello stesso momento che l’ultima parola è del Signore, colui che ha la piena sovranità su ogni essere umano.

Il Signore ha deciso di rendere la sua Parola scritta il mezzo sufficiente e ordinario da ascoltare e far ascoltare. Essa è la voce di Dio, resa efficace ed efficiente per mezzo dello Spirito Santo, che indirizza alla salvezza che possiamo ottenere in Cristo, la Parola vivente. Ed è quella stessa la Parola di Dio che ci insegna, riprende, corregge ed educa alla giustizia per essere completi e ben preparati per ogni opera buona.

Ti invito, quindi, a prestare attenzione alla Parola che oggi è stata cantata, confessata, predicata e qui resa visibile. Forse stai aspettando un segno particolare o un evento clamoroso che ti faccia credere al Dio che oggi stiamo lodando insieme. Ti invito invece ad aprire il tuo cuore e la tua mente alla Parola di Dio. Ti invito a non essere scettico, ma credere per il perdono dei tuoi peccati offerto attraverso il sacrificio di Cristo Gesù.


Grazie a tutti coloro che sostengono la Chiesa Breccia di Roma con le loro offerte.