Gesù: chi è costui? - Luca 7,36-50
Predicatore: Davide Ibrahim
Immaginate di essere stati invitati al pranzo della domenica da qualcuno che conoscete da poco e con il quale avete ancora poca confidenza. Di solito, quand’è così, ci si aspetta un certo livello di ospitalità da parte di chi invita. In effetti, l’aspettativa comune è di trovare una casa pulita e ordinata, una tavola ben apparecchiata, un pranzo un attimo più elaborato rispetto al solito e un’atmosfera accogliente che permetta buone conversazioni. Insomma, l’ospitante dovrebbe fare gli onori di casa. Però, con vostra grande sorpresa e delusione, appena varcata la soglia di casa, vi ritrovate di fronte a tutt’altro: l’appartamento è sottosopra, sporco e disordinato; il padrone di casa vi saluta in fretta e furia senza nemmeno farvi accomodare e offrirvi qualcosa da bere; cominciate a mangiare e nessuno è interessato a parlare con voi. Finito il pranzo, che sospettate sia l’avanzo della sera prima, non vedete l’ora di andarvene via. Siete offesi e amareggiati. Speravate di trascorrere un pomeriggio gradevole e invece si è rivelato un fiasco. Il padrone di casa vi ha sminuiti e ignorati, non onorandovi in quanto suoi ospiti.
L’episodio che ci racconta Luca è simile a questa situazione; però, anziché una persona comune, l’invitato è il Signore Gesù in persona. Simone, un fariseo, cioè uno studioso della legge mosaica e suo rigido osservatore, invita il Signore Gesù a pranzo e lui accetta volentieri. È interessante notare che pochi versetti prima il Signore aveva dichiarato che le persone lo accusavano di essere un “mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori!” (v. 34). Adesso invece era stato invitato da un fariseo, membro di un gruppo politico religioso che si auto proclamava giusto e puro! Paradossalmente però, è proprio in quella casa che il Signore Gesù non riceve gli onori che qualsiasi ospite dell’epoca era solito ricevere. Ed è il Signore Gesù stesso che lo fa notare a Simone (v. 44-46). Era usanza dare dell’acqua all’ospite per lavarsi i piedi prima di mangiare, dato che si indossavano i sandali e la strada era alquanto polverosa, ma Simone non gli aveva dato nemmeno un asciugamano! Era usanza dare un bacio di benvenuto all’ospite, ma Simone non si era sforzato di fare questo minimo gesto! Era usanza cospargere di olio il capo dell’ospite, ma Simone non l’aveva degnato manco di questo! Simone aveva sminuito il Signore Gesù non onorandolo come avrebbe fatto con qualsiasi altro ospite. Era evidente che né Simone né le persone presenti al pranzo sapessero veramente chi avessero al tavolo con loro! Ma chi era allora costui che era stato invitato a pranzo? Grazie alla presenza di un altro personaggio, una donna conosciuta per essere una “peccatrice”, proprio quel tipo di persona per cui il Signore era stato accusato, riusciamo a rispondere a questa domanda e a riconoscere la grandezza dell’ospite di Simone. Gesù: chi è dunque costui? Colui che conosce i suoi; colui che condona i debiti; colui che salva per fede.
1. Colui che conosce i suoi
Ci viene detto da Luca che dopo essersi seduti a tavola, compare una donna residente in quella città conosciuta per essere una “peccatrice" (v. 37). È molto probabile si trattasse di una donna in prostituzione riconoscibile da chiunque per il suo tipo di abbigliamento. Appena saputo che il Signore Gesù stava pranzando da Simone, si reca verso la casa del fariseo con un oggetto di elevato valore, un vaso di alabastro pieno di olio profumato (v. 37b). Ed è allora che assistiamo a una scena forte e inaspettata. Mentre Gesù è sdraiato per terra a pranzare, la donna innominata, si mette ai suoi piedi ancora sporchi di polvere e comincia a piangere facendo cadere le lacrime sui piedi del Signore. Anziché usare un asciugamano, utilizza i suoi stessi capelli per asciugargli i piedi, un atto inammissibile all’epoca, dato che le donne non potevano sciogliersi i capelli e per di più utilizzarli per asciugare i piedi. Era un compito così infimo e sporco che doveva essere fatto dagli schiavi. Ma la donna va oltre: comincia a baciargli i piedi e a ungerglieli con l’olio profumato che aveva portato. Non si sente degna di cospargergli il capo e allora con umiltà e sottomissione gli unge i piedi. Era veramente troppo vedere una scena del genere. Come poteva una donna peccatrice e quindi impura fare questi gesti e toccare un maestro? Oggi le scarpe chiuse ci evitano un grande imbarazzo, ma immaginate se qualcuno davanti a tutti noi vi togliesse le scarpe e le calze, e cominciasse a baciarvi i piedi e passarci una crema per i calli. Chi assisterebbe alla scena sarebbe sicuramente a disagio e imbarazzato. Non oso immaginare il diretto interessato!
Qui invece, non è Gesù quello che rimane a disagio, ma Simone, il padrone di casa. Mancante di coraggio per dirlo ad alta voce, esprime un pregiudizio fra sé e sé (v. 36). Inaspettatamente Gesù risponde al pensiero di Simone, dimostrando di essere un vero profeta e di essere pienamente consapevole chi è quella donna. Simone aveva giudicato esteriormente la donna, ma “il Signore non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell’uomo: l’uomo guarda all’apparenza, ma il Signore guarda al cuore” (1 Samuele 16:7). Gesù aveva visto una donna con un cuore pentito per i peccati commessi che mostrava segni di riconoscenza e amore per la salvezza ricevuta. Gesù conosceva la donna e sapeva perché era lì. Non si è scomposto e non le ha intimato di fermarsi per quello che stava facendo ai suoi piedi. Conosceva il suo cuore, conosceva la sua persona, conosceva lei e la sua vita passata. Sapeva perché era ai suoi piedi e le ha lasciato esprimere gratitudine.
Gesù è colui che conosce i suoi. Conosce coloro che gli appartengono e che gli sono stati affidati dal Padre. Gesù è il buon pastore che conosce le sue pecore e le pecore conoscono lui (Gv. 10:14). Gesù è il vero profeta che conosceva la donna e la donna conosceva lui. Quante volte però siamo noi i primi a comportarci come Simone. Simone potrebbe essere stato un credente con una visione ridotta di Gesù e della grazia, che riponeva ancora parte della sua fiducia nelle opere. O forse una persona nel processo di diventare un vero credente. Come Simone, giudichiamo i nostri familiari, amici, colleghi, datori di lavoro, pazienti pensando che non abbiano le caratteristiche “giuste” per essere salvati dal Signore. Riponiamo poca fiducia nella potenza dello Spirito per la conversazione dei peccatori. Basandoci suoi nostri parametri, selezioniamo le persone che vanno più in linea con un comportamento apparentemente più cristiano, anziché tenere presente che “non c’è nessun giusto, neppure uno. Non c’è nessuno che capisca, non c’è nessuno che cerchi Dio. Tutti sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c’è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno” (Rm 3:10-12). Manchiamo nel riconoscere la sovranità del Signore e dimentichiamo che egli conosce i suoi. Che sia il peggior datore di lavoro o una persona con un passato pieno di peccati terribili, o un amico che conosciamo ormai da anni e che non sembra avere intenzione di convertirsi al vero Dio, siamo chiamati a condividere il vangelo di Cristo in ogni occasione favorevole e sfavorevole (2 Timoteo 4:2). Esercitando il nostro ruolo sacerdotale, profetico e regale in ogni ambito della nostra vita, apriremo le porte del Vangelo alle persone che ci stanno intorno e se saranno chiamate da Dio, se saranno veramente sue pecore, prima o poi, entreranno nella sala da pranzo e si inginocchieranno ai suoi piedi del Signore Gesù riconoscendolo come Salvatore e Signore.
2. Colui che condona i debiti
Nel rispondere al pregiudizio di Simone e mostrargli la ragione del comportamento della donna, il Signore Gesù decide di utilizzare un’illustrazione semplice ma che va dritta al punto. Riadattandola al 2022, potremmo dire che il creditore è l’Agenzia delle entrate che manda a casa di due persone diverse due cartelle esattoriali con una somma da pagare. Una persona deve pagare 5000 euro, mentre l’altra 500. Inaspettatamente, il figlio del direttore che conosce entrambe le persone decide di pagare lui stesso il debito. Che sollievo! Però, la reazione da parte delle due persone è completamente diversa: quella al quale è stata condonata una somma maggiore, appena saputa la notizia, scende per le strade di Roma e si dirige verso gli uffici dell’Agenzia e ringrazia con estrema gioia e gratitudine padre e figlio. Mentre l’altra persona, a cui è stata condonata la somma minore, rimane indifferente di fronte al debito condonato. Al massimo manderà uno striminzito messaggio di ringraziamento su WhatsApp.
L’Agenzia delle entrate è Dio stesso che ha un debito con la donna e Simone. Entrambi sono peccatori davanti a lui e devono pagare il prezzo della loro colpa. La donna è consapevole di aver commesso molti peccati nella sua vita, mentre Simone è convinto di averne “formalmente” commessi pochi. Dio Padre decide di perdonare ad entrambi il loro peccato per i soli meriti di Gesù Cristo e di donare loro la vita eterna. Entrambi sono peccatori ed entrambi meritano di morire, ma una si rende conto che nel suo stato di peccatrice ha commesso una miriade di peccati, mentre l’altro, nonostante sia anch’egli un peccatore, ha commesso pochi peccati visibili e con gravi conseguenze. La loro reazione mostra la consapevolezza di quanto li è stato perdonato.
Rischiamo di dimenticarci quanto ci è stato perdonato e sminuire il sacrificio del Signore Gesù. Rischiamo di sottovalutare il nostro stato peccaminoso e di non mostrare gratitudine nei confronti della grazia ricevuta dal Dio uno e trino. Rischiamo di essere come la chiesa di Laodicea, né freddi né ferventi (Ap. 2:15), e di abbandonare il nostro primo amore (Ap. 2: 4). Da una parte la società nella quale viviamo rinnega il peccato dell’uomo, elevando la creatura al di sopra del Creatore. Dall’altra, il cattolicesimo ritiene che il peccato sia una lieve ferita anziché una totale rottura della relazione tra Dio e l’uomo. La gravità del peccato viene annullata o svalutata. È inevitabile, quindi, che anche il sacrificio di Cristo venga dimenticato o sminuito. Siamo continuamente influenzati da questi insegnamenti inconsciamente e consciamente. La Parola di Dio ci dice che il cuore dell’uomo è insanabilmente maligno e che solo per mezzo di Gesù Cristo riceviamo il perdono e siamo riconciliati a Dio. Calvino dice: “fintantoché gli uomini non hanno chiaramente impresso nel loro cuore il pensiero che tutto debbono a Dio, che sono teneramente nutriti sotto il suo sguardo paterno, finché, insomma, non lo considerano autore di ogni bene, in modo da non desiderare altro che lui, mai gli si sottometteranno con sincera devozione; e fintantoché non pongono in lui la loro felicità, non potranno consacrarsi a lui con animo sincero e univoco” (Istituzioni, 1.2.1).
È la Parola di Dio per mezzo dello Spirito Santo che ci imprime nel cuore e ci ricorda il nostro stato di peccatori giustificati per fede, e ci riprende, corregge e ci educa alla giustizia (2 Tm 3:16). È la Parola di Dio che ci ricorda che dobbiamo tutto a Dio. Il culto al quale partecipiamo ogni domenica ci riposiziona ai piedi di Cristo con la confessione del nostro peccato, la proclamazione del perdono di Dio e la benedizione spirituale che scaturisce dal ricordo del sacrificio di Cristo. In chi ti riconosci? Nella reazione della donna o di Simone? Sei pienamente consapevole del grande debito che Dio ti ha condonato in Cristo? La mia preghiera è che la gratitudine per la persona e l’opera di Cristo possa generare in ognuno di noi tramite lo Spirito Santo un atteggiamento continuo di lode, adorazione, celebrazione, ringraziamento, onore e servizio verso Dio.
3. Colui che salva per fede
La parabola mostra chiaramente un perdono incondizionato che non dipende dall’azione della donna, ma dalla volontà di Cristo, Dio incarnato, di perdonare i suoi peccati. La gratitudine e l’amore mostrati dalla donna nei confronti di Gesù ne sono il frutto. I suoi peccati le sono stati perdonati e perciò ha molto amato. Il perdono è sempre prerogativa di Dio e mai dell’uomo. È Dio che salva perdonando i peccati di coloro che sono suoi. È Dio che condona i debiti dei creditori. È Dio che decide di salvare per grazia attraverso la fede. Come il centurione del quale abbiamo sentito parlare due settimane fa, anche questa donna è stata salvata unicamente per la sua fede nel Signore Gesù. Il suo gesto è stato il risultato di immensa gratitudine e sottomissione nei confronti di Dio. Ha riconosciuto di essere una peccatrice e di necessitare della salvezza in Gesù Cristo per il perdono dei peccati. Ed è lì solamente che subentra la pace di Dio che assicura il peccatore di essere stato perdonato e finalmente libero dal giogo della morte. L’affermazione del Signore Gesù: “I tuoi peccati ti sono stati perdonati” (v. 50) è una conferma vocale per riassicurare la donna del perdono già ricevuto e attestare ancora una volta alle persone invitate al pranzo che colui che avevano al tavolo con loro non era solamente un maestro autorevole, ma Dio in persona.
La fede è un dono che viene dato da Dio a coloro che sono suoi. La fede è un dono che apre gli occhi davanti al proprio peccato. La fede è un dono che mostra al peccatore l’enorme debito che ha nei confronti di Dio. La fede è un dono che riempie il nostro cuore di gioia, amore e ringraziamento nei confronti del perdono ricevuto da Dio. In una città come Roma dove la religione predominante insegna che la salvezza è un miscuglio tra fede e opere, il Vangelo è chiaro nell’affermare che è per sola fede che le donne e gli uomini sono salvati dal proprio peccato. Hai fede nel sacrificio di Gesù Cristo sulla croce? Credi tu di essere un peccatore che necessita della salvezza di Dio in Cristo? Riconosci che le tue opere non ti permetteranno di accedere nel Regno di Dio ma che esse sono un segno di gratitudine e amore della salvezza ricevuta? La mia preghiera è che oggi, tu che ancora non credi nella persona e nell’opera di Cristo, possa ricevere da parte di Dio la stessa fede salvifica della donna ed esprimere da ora in poi attraverso l’intero tuo essere in ogni ambito della tua vita amore, gratitudine e servizio verso il tuo Salvatore e Signore, Gesù Cristo.