Conserviamo il tesoro più prezioso - Salmo 119,11

 
Salmo 119,11.png
 

Predicatore: Davide Ibrahim

Ho conservato la tua parola nel mio cuore per non peccare contro di te. (Salmo 119:11)

La nostra vita è costellata di conservazioni. Conserviamo il cibo in frigorifero per poterlo mangiare nel corso del tempo. Conserviamo scontrini e fatture (soprattutto i milanesi) per avere un chiaro bilancio delle nostre entrate e uscite. Conserviamo i ricordi mentalmente o sottoforma di foto, canzoni e lettere per poterci ricordare di una persona o di un evento. Gli studenti conservano gli appunti perché sanno che dovranno riutilizzarli per studiare. Un sinonimo di conservare è custodire. Ad esempio, una mamma custodisce il neonato nel suo grembo per riscaldarlo e proteggerlo. Il custode custodisce l’entrata del condominio e il condominio stesso. C’è chi lo sa fare meglio e chi meno, ma alla fine tutti siamo capaci di conservare e custodire. 

Allo stesso modo lo scrittore del salmo 119 ha deciso di conservare qualcosa, una cosa preziosa, siccome ha deciso di riporla in un posto molto intimo per non commettere qualcosa contro Dio. Leggiamo quindi il testo di oggi: salmo 119 versetto 11. Ci porremo quindi tre domande: cosa conserviamo? Dove conserviamo? Perché conserviamo? Le risposte sono chiaramente enumerate in questo versetto, il quale fa parte di un capitolo di inestimabile ricchezza. Il Salmo 119 è conosciuto per essere il Salmo della Parola di Dio. Qui il salmista dedica ogni singolo versetto per illustrare i suoi aspetti teorici e pratici (quindi le cose da sapere sulla Parola di Dio e le cose da fare nei confronti della Parola di Dio: amarla, meditarla, leggerla, proclamarla, studiarla, ed appunto conservarla). Se qualcuno mi chiedesse dove cominciare per approfondire la dottrina della Parola di Dio, non esiterei ad indicargli questa miniera d’oro. Cominciamo quindi a rispondere alle nostre tre domande e vedere insieme cosa il Signore ci vuole comunicare e insegnare questa sera. 

1. Cosa conserviamo? (La tua parola)
Il salmista è chiaro. Egli vuole conservare la parola di Dio. Quando parla della Parola di Dio si sta riferendo alla Torah, la legge data al popolo d’Israele per mezzo di Mosè. Come giustamente dice la meditazione dell’AEE «la parola era la forma più evidente dell’impegno di Dio verso il suo popolo». È attraverso di essa che il Signore ha deciso di costituire un legame pattizio: Dio che parla e un popolo che ascolta e mette in pratica. È attraverso di essa che l’Eterno, il creatore di ogni cosa, il Dio uno e trino, che non necessitava di null’altro che di sé, ha deciso per amore, di comunicare i suoi propositi di salvezza, il suo pensiero e la sua volontà all’uomo. Quale grande dono! Leggere tutto il salmo 119 ci fa rendere conto di quanto il salmista si rendesse conto dell’importanza di questo dono divino. Egli ama e desidera la Parola vivente perché ama il Dio vivente. Egli ha sperimentato nella sua vita l’efficacia e la soprannaturalità della Parola. 

Ma il Signore non ha deciso di fermarsi lì con i primi cinque libri. Ha decretato una rivelazione progressiva, ha ispirato altre persone nell’Antico Testamento affinché comunicassero la sua parola, fino a giungere, nella pienezza dei tempi, a Gesù Cristo, la parola incarnata, e quindi ai testi ispirati del Nuovo Testamento. Egli si rivela totalmente nella persona di Cristo. Cristo è la parola, e la parola è Cristo. È un legame inscindibile, divino, eterno. Ciò che dice Gesù è da Dio e di Dio perché lui stesso è Dio. Pietro riconobbe questo quando disse: “Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna!” (Gv 6:68). La sua parola guariva e guarisce i malati, istruiva e istruisce gli umili, perdonava e perdona i peccatori, leniva e lenisce i cuori, educava ed educa le genti. La folla sperimentò un’autorità che non aveva mai sperimentato altrove e decise di seguire le parole di Gesù Cristo e non quelle degli scribi. Decisero di conservare le parole di Dio e non le parole degli uomini ribelli e non sottomessi a Dio. È opportuno farci questa domanda: cosa conserviamo? 

Cosa abbiamo deciso di conservare? Cosa ci guida giornalmente, cosa guida i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre stesse parole? Su cosa edifichiamo e basiamo la nostra vita? Qual è il fondamento? Sulla parola inerrante e veritiera di Dio o su altro (il nostro io interiore, le parole degli altri, le parole del nemico, le parole del mondo)? Sono le promesse di Dio che guidano le nostre giornate o gli eventi esterni a noi? Ciò che siamo è definito da ciò che Dio dice di noi, cioè che siamo peccatori che necessitano unicamente della sua grazia per essere salvati, o ci basiamo sui messaggi motivazionali ed emotivi che sentiamo giornalmente che esaltano la creatura anziché il creatore? Il salmista ha deciso di conservare la parola di Dio e l’invito è che noi possiamo fare lo stesso. 

Abbiamo quindi compreso l’oggetto ma abbiamo bisogno di un luogo. Dove ha deciso di conservare la parola di Dio il Salmista? Su uno scaffale? In una cassaforte? Sul cellulare? Egli continua ad essere molto chiaro. La parola di Dio va conservata dentro il nostro cuore. 

2. Dove conserviamo? (Nel mio cuore) 
Questo cambia il modo di vedere la conservazione. Nell’introduzione ho riportato esempi di oggetti che conserviamo, come cibo e scontrini, lettere e foto, che però non sono sempre con noi. Non andiamo in giro tutto il tempo con il frigorifero o con il dossier degli scontrini o con l’album delle fotografie di qualche anno fa. Lo smartphone permette di conservare molte di queste cose, ma nonostante sia costantemente con noi, rimane sempre più lontano rispetto al nostro cuore. Il salmista ha deciso di conservare la parola di Dio nel luogo più intimo. Per la Bibbia il cuore è il centro propulsore dei sentimenti e della coscienza; il cuore rappresenta la totalità dell’essere umano. Parlare di cuore vuol dire parlare della vita stessa. Esso è sede della vita morale e spirituale. La parola di Dio ci istruisce chiaramente sulla condizione morale e spirituale del nostro cuore: dopo il peccato di Adamo ed Eva, il cuore dell’uomo è diventato “ingannevole più di ogni altra cosa e insanabilmente maligno” (Gr 17:9). La condizione del nostro cuore è deplorevole, esso contamina la nostra mente, la nostra vita e il nostro carattere. È dal cuore dell’uomo che, come dice il nostro Signore Gesù, “escono cattivi pensieri, fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, frode, lascivia, sguardo maligno, calunnia, superbia, stoltezza” (Mc 7:22). 

Ed è per questo motivo che Cristo Gesù è venuto sulla terra, è morto sulla croce e risorto. Per rinnovare, purificare e rigenerare il nostro cuore, quindi la nostra persona per mezzo dello Spirito Santo. Da nemici di Dio, siamo diventati figli suoi. Da estranei, siamo diventati amici suoi. Da schiavi del peccato, siamo diventati eredi di Dio e coeredi di Cristo. Da ribelli, siamo diventati servi e sudditi del Signore. I nostri pensieri e i nostri desideri si sono rinnovati. Il cuore che un tempo protendeva unicamente verso il peccato, ora, unicamente per grazia sua, protende verso Dio e la sua gloria. Il Dio che un tempo era lontano da noi, ora è in noi e ci parla attraverso la sua parola. Lo Spirito Santo, la terza persona della trinità, dirige i nostri passi e i nostri pensieri. Conservare la parola di Dio nel nostro cuore vuol dire leggerla, meditare su di essa ed essere scrutati, corretti e rinnovati attraverso di essa, dandoci consapevolezza del nostro peccato e di ciò che è gradito a Dio. 

Quindi la domanda da porci oggi è questa: Dove conserviamo la parola di Dio? È essa nel nostro cuore o è l’ultimo dei nostri pensieri? Quale priorità diamo al tempo trascorso davanti alla Scrittura? Con quale atteggiamento ci avviciniamo alla Parola? Stiamo facendo modellare io nostro cuore da Dio e la sua Parola o da altro?

Abbiamo quindi visto l’importanza di conservare la Parola di Dio nel nostro cuore. Il salmista continua il versetto dando la ragione di questa conservazione intima: per non peccare contro Dio. Qui si chiude il cerchio. 

3. Perché conserviamo? (Per non peccare contro di te)
Nonostante siamo resi liberi dal peccato perché giustificati per mezzo del sangue di Cristo, continuiamo ad essere peccatori. Lutero riassunse molto bene questa condizione con la frase: “al tempo stesso giusto e peccatore”. È questione di prospettiva. Continuiamo ad essere peccatori agli occhi di Dio ma allo stesso tempo siamo rivestiti della giustizia di Cristo. Questo è il messaggio del vangelo. Non siamo salvati per ciò che facciamo ma per quello che Cristo ha fatto sulla croce. La nostra giustizia non proviene da azioni da noi compiute, ma unicamente dall’opera redentrice di Cristo. Egli si è ricoperto del nostro peccato e noi della sua giustizia. 

Il salmista aveva creduto per fede in Dio e nella sua Parola ed era consapevole della sua natura peccatrice. Amava Dio e voleva fare la sua volontà, non voleva peccare contro di lui ed era consapevole della necessità di custodire la sua parola dentro il suo cuore. Anche nelle relazioni che abbiamo con persone a cui vogliamo bene e amiamo ci comportiamo allo stesso modo. Sappiamo che commettere e dire determinate cose potrebbe addolorare la persona amata e allora evitiamo di farlo, cercando il suo bene e benessere. Non lo facciamo perché vogliamo ottenere qualcosa, ma perché amiamo e amando riceviamo, ma il ricevere non è il fulcro della relazione Allo stesso modo, evitare di peccare contro di Dio non è dato dal fatto di voler avere qualcosa da lui, ma perché amiamo lui e desideriamo vederlo glorificato attraverso le nostre vite. E nella sua misericordia e nella sua bontà, lui ci benedice. Il non voler peccare non è il mezzo che ci porta alla salvezza, ma il risultato di una vita già redenta da Cristo e di un atteggiamento desideroso di vedere innalzato e adorato.

L’episodio più lampante di una coppia che non conservò la parola di Dio nel proprio cuore per non peccare contro di lui fu la caduta di Adamo ed Eva. Essi avevano ricevuto un chiaro comandamento da parte del Signore: “dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai” (Ge 2:17). Era un unico e chiaro comandamento ed era per il loro bene. Anziché serbarlo, meditarlo, conservarlo nel proprio cuore, Eva decise di disfarsene e ascoltare la parola del nemico. Fu la parola del serpente quella che prese il sopravvento nel cuore di Eva. Eva cominciò a riflettere sulle parole di Satana. Mangiare dall’albero avrebbe significato diventare come Dio. E allora Eva mangiò dall’albero. È con questo episodio che ci rendiamo conto di cosa vuol dire peccare contro di Dio: Innanzitutto Eva dubitò della parola data da Dio e non ebbe fede in ciò che egli le aveva detto. Poi, ebbe la presunzione di poter diventare come Dio, poi si inorgoglì con il pensiero di poter acquisire la conoscenza del bene e del male. E infine diede la colpa al serpente appena venne accusata da Dio stesso di aver infranto il suo comandamento. 

Sono tutti peccati che fanno parte della nostra vita. Dubitiamo della parola di Dio e critichiamo la Bibbia, ci inorgogliamo e diventiamo presuntuosi appena acquisiamo un po’ di conoscenza, ci eleviamo al di sopra di Dio e pensiamo di essere il centro del mondo e quando la sua parola vuole disciplinarci e correggerci accusiamo altri del nostro stesso peccato. 

Quando ci allontaniamo dalla sua parola e cominciamo a riempiere il nostro cuore con altro e a mettere al centro della vita noi stessi, pecchiamo contro di lui e gli altri. Meno conserviamo nella nostra mente e nel nostro cuore ciò che lui ci comunica e meno ci ricordiamo delle sue promesse, dei suoi avvertimenti, dei suoi insegnamenti. Veniamo guidati dai nostri stessi desideri e non dai suoi. La Parola, attraverso lo Spirito Santo ci dà la facoltà di fare la volontà di Dio. Più ci allontaniamo da essa e più ci allontaneremo da Dio. Più ci avvicineremo ad essa e conserveremo i suoi statuti nel nostro cuore, e più avremo intimità con il Signore, lo conosceremo e ricercheremo la sua gloria e non la nostra, la sua volontà e non la nostra.  

CONCLUSIONE
Viviamo in una città che ci porta a peccare e quindi abbiamo bisogno di conservare la parola di Dio nel nostro cuore. Ci abito da pochi mesi e ho già vissuto momenti di frustrazione dove ho visto il mio cuore disubbidiente e ribelle sia nei confronti di Dio che degli uomini. Le nostre conversazioni e riunioni di preghiera sono uno specchio della realtà di questa città: documenti che non vengono rilasciati, poca chiarezza e tanta lentezza burocratica, strutture sanitarie che non riescono a gestire il carico di pazienti e non garantiscono un servizio adeguato, tecnici del gas e della telefonia che non si presentano per vari giorni nonostante la parola data, mezzi di trasporto che ritardano frequentemente. Chi più ne ha più ne metta. Queste situazioni ci portano a dubitare della provvidenza di Dio, della sua sovranità, delle sue promesse e quindi cominciamo ad avere ansia, paura, impazientirci, lamentarci, criticare, maledire, insultare, serbare rancore e disprezzo verso una città non riformata e che non ha dentro le sue vene il concetto di regalità biblica. Ed è per questo che abbiamo bisogno ancor di più di conservare la parola di Dio nel nostro cuore per non peccare contro di lui e gli altri. Che l’esortazione di Paolo ai Colossesi possa essere fatta nostra: “La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente, ammaestrandovi ed esortandovi gli uni gli altri con ogni sapienza, cantando di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali” (Cl 3:16). Che l’impulso della grazia, oltre a portarci a cantare a Dio e lodarlo, ci porti ad amare il nostro Salvatore e Signore e a voler custodire la sua parola nei nostri cuori per esortare le nostre sorelle e i nostri fratelli in Cristo ed essere di testimonianza nei luoghi e con le persone che frequentiamo giornalmente in questa città impegnativa.


 
 

Grazie a tutti coloro che sostengono la Chiesa Breccia di Roma con le loro offerte.