Nella città, il culto - 2 Samuele 6,1-7,29
Predicatore: Leonardo De Chirico
Un interruttore (switch) è quel dispositivo schiacciando il quale succede qualcosa: si accende la luce, si avvia un motore, si innesca un meccanismo. Insomma: succede qualcosa che cambia la situazione precedente. Al capitolo 5 c’è stato uno switch nella vita di Davide. Tutti lo riconoscono come re, non ci sono più competitori, la guerra civile è finita. Da fuggiasco può pensare in termini più distesi. Da affrontare solo emergenze (anche se le emergenze non finiranno mai), può dedicarsi ad una visione di lungo periodo. Da abitare nelle tende, può costruire una città. È uno switch importante: il regno è ormai stabilito e stabilizzato. Va costruito e consolidato. Ora che il regno di Davide è finalmente stabilito, il re lavora su priorità di lungo periodo.
Questo impariamo per la nostra regalità. Non possiamo sempre vivere come fuggiaschi andando da un’emergenza all’altra. Cresciamo come comunità regale se Dio ci dà di dedicarci ad una visione distesa per la nostra vita e quella della chiesa. Molti credenti e molte chiese vivono dentro una cultura dell’emergenza che impedisce di costruire granché. Roma ci espone a continue emergenze e il rischio è di vivere come fuggiaschi. Noi desideriamo che lo switch della regalità sia funzionante e ci permetta di lavorare con una visione più ampia. Per questo investiamo nella formazione, nelle vocazioni, nella cultura. Se non abbiamo attivato l’interruttore della regalità, ognuno penserà a sopravvivere e a gestire le emergenze e l’opera di Dio non andrà avanti. Dopo la città, Davide individua un’altra priorità di lungo periodo. Impareremo tre lezioni da questo testo.
1. Non c’è regno senza culto
Al capitolo 6 Davide vuole portare l’arca del patto a Gerusalemme (6,2). Davide fa seguire la priorità della conquista della città al ripristino del culto secondo la legge di Mosè, dunque il sistema levitico incentrato sul tabernacolo. La città deve diventare il luogo del culto a Dio. Per Davide la città di Dio ha come privilegio e responsabilità quella di essere una comunità che vive in modo guarito e ordinato anche il culto. Dio vuole regnare su di noi e tra di noi facendo di noi un popolo che lo riconosce come Dio e lo onora in quanto Dio nel culto che gli è dovuto. L’arca è il simbolo della presenza di Dio tra il popolo. Intorno all’arca era costruito il tabernacolo come spazio indicante la priorità del culto a Dio. Davide vuole riportare l’arca a casa. Il regno deve avere una città e la città deve avere il tabernacolo. Non c’è regno di Dio senza culto a Dio. Certo, per Davide è importante che la città sia difesa, funzionante, accogliente, produttiva, ma senza il culto a Dio non è la città di Dio. Per questo vuole trasportare l’arca dal luogo decentrato e lontano al cuore della città.
Così per noi: è importante che la vita sia ordinata, guarita, integra, ma se il culto non è al centro non è la vita cristiana. La nostra regalità esige la nostra sacerdotalità. Siamo un popolo regale in quanto popolo che adora il Signore che ci ha salvati. Se il culto a Dio (con tutto ciò che significa: culto personale, culto famigliare, culto della chiesa, facendo tutto per Dio, grazie a Dio e in vista di Dio) non è parte integrante della vita, la città che vogliamo costruire sarà un progetto egoistico e secolarizzato. La vita cristiana è culto. Se il culto non è al centro, siamo ancora fuggiaschi e le tracce che lasceremo saranno superficiali e diventeranno presto rovine diroccate. Se non siamo dediti alla disciplina della meditazione giornaliera della Parola, della preghiera, del canto, del culto nella comunione con la chiesa, possiamo fare e sognare quello che vogliamo ma non muoveremo un passo in avanti. Tutto passa dal culto. Come è la tua vita di culto al Signore? È alla periferia? È un riempitivo? O è al centro?
2. Non c’è culto senza rigore e passione
Il trasporto dell’arca occupa tutto il resto del cap. 6. Non è un’impresa da poco. Infatti accadono due cose abbastanza scioccanti. Da un lato, mentre un corteo sta accompagnando l’arca trainata dai buoi, un certo Uzza vede che sta per cadere dal carro e mette la mano per fermarla. Agli occhi di Dio non avrebbe dovuto farlo e Uzza viene colpito con la morte (6,7). Dall’altro lato, quando il corteo riparte dopo tre mesi, ciò che accade dentro e intorno al corteo è all’insegna di musica e di gioia (6,15). Addirittura Davide danza a tutta forza (6,14), tanto da provocare la critica di sua moglie Mical (6,20).
Non entriamo in tutti i particolari di questa storia singolare. Quello che possiamo dire è che, secondo 1 Cronache 15,2 che racconta la stessa storia, il problema di Uzza era che non era levita, quindi non apparteneva al gruppo di persone autorizzate a spostare l’arca. Insomma, nel corteo c’era stato un certo pressapochismo e una certa negligenza. Davide deve imparare che il culto non è una scatola vuota dove ognuno fa quello che vuole e come vuole. Dio vuole essere adorato nel modo che Dio stesso ha stabilito. Nel lodare Dio, bisogna farlo secondo le sue aspettative. Ci vuole rigore. Il culto è una cosa seria da non improvvisare in modo superficiale. A noi può sembrare un episodio estremo e incomprensibile, ma forse il nostro problema è che abbiamo una visione di Dio troppo addomesticata e sentimentale e del culto come spazio vuoto che possiamo riempire come vogliamo.
L’altro punto è che questo corteo è caratterizzato da una passione palpabile e da un clima elettrizzante. In modi diversi, tutto è coinvolto e tutti sono coinvolti: il canto, il corpo, il cuore; il re, i leviti, i popolo intero. Ci sono sacrifici di animali (che erano richiesti al tempo: 6,18) e condivisione di cibo per tutti (pane, carne, uva: 6,19). C’è festa e convivialità. C’è canto e calore. C’è partecipazione e comunità. E tutto ad intensità notevole. Le forme possono cambiare, ma questo è il tratto del culto al Signore. Non una pratica burocratica da smaltire in modo impersonale, ma un coinvolgimento totale e totalizzante nel celebrare il Signore. Chi non partecipa alla lode nella città di Dio (come Mical) si isola e rimane amareggiato per sempre. Chi non ha il gusto della celebrazione perde il gusto della vita e si perde.
Dunque, il culto non è una scatola vuota da riempire a piacimento, ma è il riconoscimento di Dio in spirito e verità, lo stare alla presenza di Dio unendo timore e gioia, il celebrare il Signore con il massimo di rispetto e con il massimo di partecipazione ed entusiasmo. La santità di Dio in mezzo a noi riempie la città di Dio e genera la nostra festa: una festa che unisce quello che in genere è separato: il rigore e la passione, l’ubbidienza e la libertà, il timore e la gioia. In Cristo siamo veramente sottomessi a Dio e veramente liberi in Dio. Nel culto noi sperimentiamo sia la totale dipendenza da Lui sia la nostra libertà di figlie e figli di Dio.
3. Non si costruisce niente, se Dio non edifica
Il capitolo 7 ci parla di un ulteriore progetto di Davide. Non gli basta aver stabilito la città, non gli basta aver ripristinato il culto del tabernacolo, vuole costruire un tempio. Non più una tenda di culto, ma un edificio permanente per il Signore. Il progetto è audace, ambizioso e giusto. Nei tempi di Dio il tempio sarà realizzato (sotto il regno di Salomone, figlio di Davide), ma i tempi di Dio non sono quelli di Davide. Il tempio verrà dopo Davide. Davide si è “allargato” un po’ troppo e Dio lo riporta alla realtà della sovranità di Dio sulla sua vita e sulla città.
Nel comunicare a Davide che non sarà lui a costruire il tempio, Dio rovescia i ruoli: non è Davide che farà qualcosa per Dio, ma è Dio che ha fatto tutto e farà tutto per Davide (7,8-11). Se Dio non edifica, invano si affaticano i costruttori (Salmo 127,1). Se Dio non costruisce la città, gli sforzi sono vani. E’ importante che Davide abbia attivato lo switch della regalità non più come fuggiasco che affronta solo emergenze, ma come residente nella città che ha delle priorità di lungo termine. Eppure Dio gli ricorda e ricorda a tutti noi che non siamo noi a muovere la storia, ma è Dio stesso che lo fa. Noi siamo al servizio di Dio, non il contrario. In realtà, il tempio che Dio avrebbe costruito non è neanche quello di Salomone. Dio Padre avrebbe mandato suo Figlio, Gesù Cristo, per essere il suo tempio tra di noi. Nella città di Dio al centro c’è Gesù Cristo, il Dio-uomo venuto per salvare i perduti. Sei parte di questa città dove c’è la festa di Dio o sei ancora in fuga scappando dalle emergenze della vita o isolato nelle tue amarezze?