Benevolenti con i bisognosi - 2 Samuele 9,1-13
Predicatore: Raffaele Costagliola
Viviamo in una società sempre più individualistica incentrata solamente sui propri interessi. Persino quando si parla di fare del bene al prossimo l’attenzione viene incentrata sempre e solo su di sé. Sentiamo sempre più spesso frasi del genere:
“Le persone che offrono aiuto, per esempio, «possono sentirsi intimamente soddisfatte delle proprie buone azioni, e così sperimentano continuamente buone sensazioni, fisiche e morali».” (Barbara L. Fredrickson)
Per cui una persona sarebbe portata a fare del bene solamente perché in questo modo sperimenta delle buone sensazioni. Il fare del bene diventa quindi una terapia.
Ma questo stona con quello che è la visione biblica e in particolare con quello che abbiamo appena letto. Vogliamo re-imparare insieme, secondo la parola di Dio, ad esercitare la carità e la generosità nei confronti dei bisognosi, ordinandola secondo la volontà di Dio, modellandola sull’esempio di Cristo e generando meccanismi virtuosi di regalità.
1. Benevolenti secondo la volontà di Dio
Possiamo immaginare che dopo un periodo di guerre in Israele ci fossero tanti bisognosi: vedove, orfani, uomini feriti che non potevano più lavorare, ecc. Ma il testo ci dice che la prima cosa che fece Davide fu quella di informarsi sulla casa di Saul. Appena possibile chiese alle persone intorno a lui se ci fosse ancora qualcuno in vita della casa di Saul con l’intento di fargli del bene (v.1), in virtù del patto di amicizia e fedeltà stretto con Gionatan (1. Sa. 20,14). Non si fermò finché non ottenne una risposta da parte di Siba, servo della casa di Saul (vv.2-4).
Come sappiamo la casa di Saul gli aveva generato molti problemi nel corso della vita, eppure Davide, come altre volte in passato, continua a trattarla con benevolenza. Davide non guarda tanto alle azioni compiute da Saul e dalla sua casa, ma al fatto che il Signore, nella sua sovranità, aveva unto Saul come re prima di lui. Questo non solo genera un rispetto passivo nei suoi confronti, ma anche azioni concrete.
Come comunità che vuole imparare a vivere in modo regale possiamo apprendere da Davide ad esercitare generosità e benevolenza e ad esercitarla con progettualità e in modo disciplinato.
Possiamo riconoscere in Davide una persona buona e generosa, ma non disperse le risorse a sua disposizione in sporadici atti di carità mossi da sentimentalismi estemporanei, così come a volte siamo spinti a fare dalla cultura in cui ci troviamo. Nello specifico, nella città in cui viviamo, potremmo riconoscere due tendenze: da un alto la visione cattolica romana per cui gli atti di carità sono ricondotti all’idea di poter acquistare crediti per il paradiso; dall’altro la sensibilità contemporanea che spinge verso atti di beneficenza per alleviare il senso di colpa derivante dall’ingiustizia sociale che viviamo.
Tutta la Parola di Dio ci esorta ad essere benevolenti con i bisognosi e nel NT apprendiamo che sin da subito la chiesa primitiva nomina dei diaconi per svolgere compiti di assistenza nei confronti dei più deboli.
Proprio come Davide riconosceva che tutte le cose di cui era venuto in possesso erano di Dio, come chiesa siamo tenuti a riconoscere che tutte le nostre risorse provengono dalla bontà e generosità di Dio e che dobbiamo amministrare questi beni con saggezza.
Dovremmo quindi imparare a orientare e ordinare ogni aspetto della regalità, compresi generosità e benevolenza. Come, infatti, leggiamo in Ga. 6,10 dove c’è scritto “così dunque, finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede”; vediamo che la benevolenza è sicuramente un requisito indispensabile nel cammino cristiano, ma che anche in questo aspetto il Signore individua un ordine ed una scala di priorità. Proprio come Davide prima di esercitare la benevolenza verso qualsiasi abitante del suo regno in stato di bisogno andò in cerca di un esponente della casa di Saul in virtù del patto stipulato con Gionatan e per amore di Dio, così noi siamo tenuti a riconoscere in coloro che il Signore ha chiamato accanto a noi come fratelli in Cristo le prime persone verso cui indirizzare la nostra generosità.
Se è Dio a donarci le risorse di cui disponiamo, dobbiamo anche capire che non sono le nostre, e che dobbiamo amministrarle con saggezza secondo la volontà di Dio e non in base alle nostre simpatie o ai sentimenti dei nostri cuori. Preghiamo affinché Dio possa darci di crescere nella regalità imparando anche a gestire le risorse con ordine e saggezza secondo la sua volontà.
2. Benevolenti secondo l’esempio di Cristo
Andando avanti, al v.4, Siba riferisce al re che in realtà c’è un figlio di Gionatan (Mefiboset) ancora in vita, ma non fa il suo nome, piuttosto lo identifica definendolo “storpio dei piedi” e quindi militarmente innocuo e rifugiato in una terra lontana il cui nome, Lodebar, significa “terra arida”. Insomma, una persona di poco conto.
Ma Davide non lo considerò di poco conto, e in virtù del patto stretto con Gionatan e per amore di Dio mostra la sua misericordia, lo mandò subito a chiamare e sottraendolo ad una terra arida lo invitò a sedere alla mensa del re trattandolo con amore e gentilezza (v.7).
La grandezza dell’amore di Dio risiede proprio nel fatto che “mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm. 5,8). Mentre eravamo, come Mefiboset, poveri e zoppi a causa del peccato, Dio, nella persona di Cristo, ha fatto la prima mossa compiendo la promessa di salvezza fatta ad Abramo. La sua morte e resurrezione alla croce è una chiamata personale. Cristo ci chiama per nome e, se riconosciamo il nostro peccato, ci accoglie alla sua presenza. Quanto è grande l’amore di Dio!
Come Davide, siamo chiamati a testimoniare, attraverso le nostre azioni, di questo amore incondizionato soprattutto verso i bisognosi.
Possiamo farlo proprio perché Cristo ci ha amati per primo. Gesù ha donato la sua intera vita per la nostra vita e in virtù di questa grazia ricevuta che possiamo fare il primo passo vero il prossimo.
Come membra del corpo di Cristo, e come membri di una chiesa cristiana inseriti nella città di Roma, abbiamo la responsabilità regale di aiutare il prossimo con amore, l’amore di Dio. Un amore incondizionato, che si propone di fare del bene senza aspettare che gli venga chiesto, un amore che guarda all’interesse del prossimo e non al proprio benessere.
Sicuramente, nonostante i nostri sforzi non riusciremo a sopperire ad ogni bisogno sia dei nostri fratelli in Cristo che della società intorno a noi. Eppure, siamo chiamati ad essere una comunità regale che esercita la benevolenza in modo generoso e ordinato e possiamo farlo in quanto abbiamo in Cristo il modello perfetto.
3. Benevolenti nel creare regalità
Davide non solo cerca opportunità per fare del bene, non solo ospita a casa sua Mefiboset, ma gli dona anche tutte le terre che prima appartenevano a Saul e mette a sua disposizione Siba e la sua famiglia in modo da potergli coltivare le terre e provvedere ad un suo sostentamento (v.10). L’aiuto che Davide dà a Mefiboset, quindi, non è un atto di carità sporadica, ma un’opportunità per lavorare e dare il suo contributo all’interno della comunità regale allargata. Mefiboset viene invitato alla tavola del re ogni giorno, eppure Davide non crea un meccanismo di dipendenza malsano. Grazie al gesto di Davide Mefiboset diventa indipendente e può contribuire alla prosperità della comunità generando prosperità per suo figlio e lavoro per i suoi servi ed i loro figli.
Una regalità ordinata e modellata sull’esempio di Cristo, non genera generosità miope, ma lavora per creare opportunità di crescita che siano di benedizione per l’intera società. Atti di carità non pensati in una cornice più ampia, non assolvono interamente al nostro compito di esercitare una generosità regale.
Mentre aspettiamo che Cristo venga a stabilizzare per sempre il suo regno in cui si possano sperimentare generosità e benevolenza infinite e definitiva, preghiamo affinché il Signore ci dia di modellare la nostra generosità secondo le sue priorità, seguendo il modello di Cristo e con una diaconia rivolta allo sviluppo e al benessere della comunità e della società in cui viviamo.