“Dio è santo”. Sai cosa significa? - 1 Samuele 6,1-21

 
 

Predicatore: Leonardo De Chirico

Se dovessimo fare un sondaggio e chiedere alle persone: “quale è l’attributo di Dio che preferisci?” o più semplicemente: “come ti piace immaginare Dio?”, sono certo che le risposte raccolte includerebbero: la misericordia, la bontà, l’amore, il perdono, … A molti piace pensare a Dio così. Questi attributi sono popolari, ma non sono gli unici che descrivono il carattere di Dio. Anzi, presi da soli, sono una distorsione di chi Dio è veramente. Costantemente nella Bibbia, questi attributi sono presentati insieme, con, intrecciati alla santità di Dio. Dio è amore, buono, misericordioso, ma solo perché è anche santo. Dio è santo. Ma cosa vuol dire che Dio è santo? Questa è una domanda a cui molti non hanno una risposta soddisfacente. Nella nostra cultura, poi, la santità è spesso associata alla figura dei “santi”, martiri, mistici, persone eccezionali, oppure a criteri moralistici come l’astinenza, il digiuno, la purezza. Non sappiamo veramente cosa significhi che Dio è santo.  

Questo capitolo è una storia che contiene una delle tante testimonianze bibliche sul fatto che Dio sia santo (v. 20). “Dio è santo” è la chiave per capire cosa sia successo ed è anche la chiave per capire quale sia il compito di un popolo profetico che vuole raccontare e proclamare la realtà di Dio. Se i profeti non parlano di un Dio santo, stanno perdendo il loro tempo. Se la nostra testimonianza profetica a Roma non ha al centro che “Dio è santo” non vale niente. Cosa vuol dire che Dio è santo?

 

1. Santità fai-da-te?

Un breve ripasso della storia: nella sua crisi profonda, Israele viene sconfitto dai Filistei e anche l’arca (una cassa contenente le tavole della legge e segno della presenza di Dio) viene persa (cap. 4). I Filistei pensano di aver vinto, ma la presenza dell’arca di Dio nel loro mezzo crea scompiglio: il loro dio Dagon viene abbattuto e si diffonde un’epidemia che fa morti e suscita panico (cap. 5). A questo punto, i Filistei decidono di sbarazzarsi dell’arca, di mandarla via: non sono riusciti ad addomesticarla accanto ai loro dèi, ma al contrario, da quando ce l’hanno nel loro campo le cose sono andate di male in peggio. Per questo, vogliono allontanare Dio dalla loro vita 

Questo accade spesso nella vita delle persone che pensano di addomesticare Dio.  Magari si sono avvicinati un po’ a Dio pensando di aver trovato un buon compromesso che permetta loro di continuare a vivere come prima, con un’attenzione marginale a Dio che viene accolto nel loro mondo tra le tante altre cose. Quando succede qualcosa di imprevisto, di sconvolgente, di doloroso, vogliono allora allontanare Dio dalla loro vita, sbarazzarsi di Lui. Se le cose vanno male, ecco che si distanziano da Lui. Dio non si può addomesticare ai nostri bisogni: se Dio entra nella nostra vita non può stare in un angolo, ma al centro. “Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate, ecco sono diventate nuove” (2 Corinzi 5,17). Dov’è Dio nella tua vita oggi?

Dunque, i Filistei vogliono sbarazzarsi dell’arca, ma non sanno come. Anche se sono certi che i loro guai sono iniziati da quando l’arca è tra loro, non sono del tutto sicuri che sia stato questo l’unico motivo delle loro disgrazie. Per questo, decidono di metterla su un carro trainato dai buoi e lasciarla partire. Se i buoi l’avessero trainata in una direzione qualsiasi, allora i Filistei avrebbero potuto pensare che la sciagura fosse stata un caso. Se, invece, i buoi l’avessero trainata verso Bet-Semes (il campo d’Israele), allora avrebbero avuto la conferma che il Dio d’Israele era il responsabile di quello che era avvenuto. Vogliono sbarazzarsi di Dio, ma non sono ancora al 100% sicuri di credere nella sua esistenza. Così è la nostra incredulità o la nostra fede: è sempre contorta, con tanti livelli, un mix di vicinanza e lontananza. I pensieri increduli si scusano e si accusano a vicenda (Romani 1,15).

Non appena lasciati andare, i buoi si distaccano dai loro vitellini e si dirigono senza esitazione verso Bet-Semes. Quello che era successo non era accaduto per caso o per ragioni inspiegabili, ma perché Dio l’aveva voluto. Non esiste il caso o la fortuna: esiste un Dio personale con cui continuamente facciamo i conti. Anche quando non capiamo la sua volontà, Lui è presente ed è a Lui che dobbiamo rendere conto.

I Filistei non vogliono che il carro torni a mani vuote. Sanno di dover fare i conti con Dio e di essere in debito con Lui in qualche modo. Sanno di dover pagare qualcosa per i loro misfatti. Sanno che davanti a Dio non ci si presenta a mani vuote (v. 3). E allora escogitano un sistema di pagamento, di restituzione, di riparazione che consiste nella riproduzione di 5 emorroidi d’oro (i rigonfiamenti che li avevano colpiti) e di cinque topi d’oro (il numero delle città colpite, v. 5) da mettere sul carro. Sono loro a stabilire il prezzo del loro peccato e, per quanto abbiano la consapevolezza di aver mancato, il loro calcolo è molto poco, insufficiente. Davvero davanti a Dio possiamo cavarcela con 10 oggettini d’oro per tutto un popolo? E’ questo il prezzo sufficiente che paga l’offesa alla santità di Dio? Davvero la santità di Dio vale 5 emorroidi e 5 topini d’oro? Per pagare il prezzo del nostro peccato, il Padre ha dovuto mandare suo Figlio unigenito, Gesù Cristo, affinché la sua vita pagasse per la nostra. Il prezzo della nostra salvezza è stato il suo sacrificio, il suo sangue, la sua vita per la nostra (1 Pietro 1,18-19). La gravità del nostro peccato e le esigenze della santità di Dio hanno reso necessario che il prezzo per pagare la prima e soddisfare la seconda fosse la vita del Figlio di Dio incarnato: Gesù Cristo. I Filistei avevano un vago senso di essere debitori ma il loro calcolo mostrava quanto superficiale la loro comprensione di Dio e del loro peccato fosse. Anche tante persone intorno a noi, sanno di non essere a posto con Dio e sono pronte a fare un pellegrinaggio, fare la carità, fare un fioretto, dire 5 preghiere, fare un’opera buona, ecc. mostrando di svalutare la santità di Dio.

Ora, tiriamo le fila di questo primo punto sulla santità di Dio fai-da-te. I Filistei hanno un’idea vaga della santità di Dio: che Dio è stato coinvolto nella loro storia, che loro lo hanno disonorato e che devono pagare per il loro peccato, che davanti a Lui sono debitori.

Ma ci sono delle contraddizioni e delle gravi superficialità: Dio è stato coinvolto sì, ma invece di voler arrendersi a Lui, non vogliono averci più a che fare. Invece di avvicinarsi per entrare in un’alleanza di grazia con Dio, vogliono separarsi da Lui. Invece di pagare per il loro peccato nel modo richiesto da Dio stesso ed in base alla gravità della loro ribellione, vogliono essere loro a stabilire come e quanto pagare. Pensano di cavarsela con poco, un piccolo sforzo, qual cosina. Ma il peccato è una cosa seria perché offende la santità di Dio in modo radicale. Il rimedio al peccato non può essere una briciola.

La loro è una santità fai-da-te, è una santità in versione filistea, a modo loro. Non è la santità di Dio. E’ la santità in voga oggi tra la gente che dice: sì Dio c’è, forse, ma io voglio stare alla lontana. Lui è troppo esigente, io voglio avere la mia libertà, i miei spazi, non voglio trovarmelo sempre addosso. E’ la santità di chi dice: sì, non sono perfetto ma chi lo è? Sì, ho fatto degli errori, ma in fondo sono una brava persona. Con un po’ di impegno ce la posso fare. Forse anche tu oggi hai un’idea filistea di santità. Pensi che Dio ci sia, ma non vuoi che regni sulla tua vita. Forse ti senti peccatore, ma ancora in grado di riparare e di migliorare con un piccolo aiuto. Al contrario, la santità di Dio significa che Dio o è al centro della tua vita o sarà contro di te. Tu non lo puoi distanziare a piacimento senza conseguenze. O sei in un’alleanza di grazia alle sue condizioni o sei fuori e sotto il suo giudizio.  La santità di Dio significa che Cristo ha dovuto dare la sua vita per pagare il prezzo del tuo peccato. Altroché i tuoi topini ed emorroidi d’oro!

 

2. Santità a buon mercato?

La verità che Dio è santo è al centro anche della seconda parte della storia. Il carro con l’arca arriva a Bet-Semes e viene accolto dagli Israeliti (v. 14). Qui c’è un know-how diverso perché queste persone appartengono al popolo dell’alleanza che era stato istruito da Dio su come adorarlo. Sanno cosa fare con l’arca: costruiscono un altare, offrono in sacrifico gli animali, chiamano i leviti per spostare l’arca. Tutto questo rivela che, al contrario dei Filistei che non sapevano cosa fare e non volevano nemmeno sapere cosa fare, gli Israeliti hanno un senso più profondo della santità di Dio. Seguono le regole, applicano la legge, coinvolgono le persone competenti.

Intanto va notato che l’arca torna nel suo campo senza che gli Israeliti la ri-conquistino. Dio è capace di sconfiggere i Filistei da solo e di tornare a casa da solo. Dio è sovrano e potente e perfettamente in grado di ribaltare i rapporti di forza e di vincere da solo la battaglia. Se non ci sono profeti, Lui può far parlare gli asini e le pietre. Se non ci sono uomini e donne coraggiosi e all’altezza di guidare, Lui può condurre i buoi a trasportare l’arca. Dio viene, Dio torna, perché Dio ha vinto. Questa è una speranza anche per noi a Roma. Dio può tornare, come e quando vuole, con o senza qualcuno che agisca in suo nome. Il suo corteo d’ingresso può essere insolito, strano, modesto e insignificante, ma in movimento. Siamo certi che Dio visiterà questa città, prima o poi.

Dunque, gli Israeliti sembrano ricevere l’arca in modo consono, secondo le indicazioni di Dio. Sanno che il peccato va trattato con l’offerta di un animale il cui sangue copre il loro peccato. Sanno che c’è un ordine nel culto e che i Leviti hanno un ruolo importante. Tuttavia, commettono un grave errore: alcuni di loro guardano dentro l’arca (v. 19), la aprono per vedere di prima mano cosa c’è dentro. Questo era vietato. La santità di Dio doveva essere salvaguardata da sguardi curiosi, morbosi, voyeuristici. L’arca era un segno della presenza di Dio, ma la presenza di Dio non poteva essere scambiata per un bene qualunque a loro disposizione. Avvicinandosi a loro e dimorando tra loro, Dio rimaneva Dio e doveva essere rispettato nel suo essere Altro da noi, con riverenza, con timore e tremore. Vicinanza sì, ma non appiattimento. Comunione sì, ma non manipolazione. Grazia sì, ma non a buon mercato. 

La chiesa cristiana rischia di fare lo stesso errore: ha accesso alla Parola di Dio e la segue grosso modo nel culto. Rischia tuttavia di banalizzare la santità di Dio, di addomesticarla alle mode, di piegarla ai bisogni avvertiti, di strumentalizzarla ad attrazione turistica. Quando Dio diventa troppo “famigliare”, troppo “amicone”, troppo uguale a noi perdendo il suo essere Dio, ecco che abbiamo la tentazione di vuole curiosare dentro Dio piegandolo ai nostri gusti ed inclinazioni. Se così accade, i culti diventano show, le chiese diventano sale da ballo, i sermoni diventano discorsi d’intrattenimento, la conversione viene scambiata per un’alzata di mano o un’emozione passeggera, il discepolato confuso con un programma, la missione per un viaggio all’estero, l’adorazione con esperienza di massa.

Dio è santo ed è santo nei suoi termini. Noi non possiamo scambiare la santità di Dio con la santità fai-da-te di chi non crede e nemmeno con la santità a buon mercato così in voga nella chiesa evangelica. Questo è il messaggio dei profeti e questo è il messaggio che dobbiamo vivere in modo gioioso e riverente. Questa è la buona notizia da proclamare a Roma.