"Non tutto è perduto: c’è speranza!" - 1 Samuele 7
Predicatore: Leonardo De Chirico
Facciamo un gioco. Verde significa bene. Giallo, così così. Rosso, male. Come stai tu? Verde, giallo o rosso? Come sta Roma? Come sta la chiesa? Se dovessimo fare il gioco sulla base della storia di 1 Samuele, essa parte male (rosso). C’è rassegnazione, stanchezza, infedeltà. Poi Anna prega, nasce Samuele e qualcosa sembra migliorare: Dio riprende a parlare, sembra aprirsi una stagione nuova. La situazione diventa gialla. Poi però diventa rossa, rossissima. I filistei sbaragliano l’esercito di Israele, uccidono molte persone e conquistano l’arca. La vita è devastata! Tutto è in frantumi e non sembra esserci alcuna speranza di cambiamento. Però non è così. L’arca torna da sola e rientra tra il popolo. La situazione torna gialla, giallo-rossa. Poi arriva il capitolo 7 e, finalmente e per la prima volta nella storia del libro, ecco che appare il verde! Finalmente, c’è qualcuno che parla a nome del Signore, finalmente c’è qualcuno che prega ed intercede, finalmente c’è qualcuno che offre sacrifici nel modo previsto dalla legge, finalmente c’è qualcuno che applica la legge di Mosè con rigore e equità. E poi, finalmente c’è una vittoria sui filistei. Dal rosso disperato al verde di speranza!
Non so se oggi siamo incoraggiati guardando a noi ed intorno a noi. Forse prevalgono i colori rossi e gialli del pessimismo e dello scoraggiamento. Tuttavia, pensiamo alla domanda: cosa succederebbe a Roma se ci fosse un movimento di chiese che svolgono fedelmente e autorevolmente un ministero profetico, sacerdotale e regale? Cosa succederebbe nella tua vita se la parola di Dio fosse ascoltata, se le discipline cristiane fossero seguite e se l’ordine di Dio fosse vissuto? In questo capitolo vediamo proprio questo: dopo tanta miseria e grigiore, c’è un bagliore, un risveglio, una riforma! Ecco cosa succede:
1. Profeti, sacerdoti, giudici (re), insieme!
All’inizio della storia ci viene detto che “la parola di Dio era rara” (3,1). Nessuno la riceveva, nessuno la ascoltava. Ognuno diceva la sua, ma non si sentiva più la parola di Dio. Il risultato era stato il caos. Ora, Samuele il profeta parla a tutti (v. 3). La parola torna ed è una parola pubblica. Tutti la ascoltano. Che cosa dice? Non dice niente di nuovo: richiama il popolo alle responsabilità di essere il popolo di Dio interamente dedicato al Signore, esclusivamente impegnato nel servizio al Signore e fedelmente ubbidiente alla sua Parola. Bisogna togliere gli idoli di mezzo. Nella carenza di parola, il popolo si era compromesso con i culti pagani di Baal e di Astarte, gli dèi cananei delle popolazioni circostanti. Basta, dice il profeta, la parola di Dio chiama ad integrità (vv. 4-5). Non è una parola nuova. E’ il primo impegno della legge di libertà. Quando il popolo era stato liberato dalla schiavitù d’Egitto, si era dedicato a non avere altro dio all’infuori di Yahweh. Bisognava tornare lì, pentirsi del peccato di idolatria, abbattere gli idoli e ridedicarsi completamente a Dio, cosa che il popolo, ravvedendosi, fa (v. 6). Questo è il ministero profetico. Non aggiungere nuove parole e nuovi messaggi, ma ripetere la Parola di Dio dimenticata, occultata, emarginata e chiamare al pentimento in vista della consacrazione. La nostra città ha bisogno di qualcuno che dica: gli idoli religiosi, secolari, personali vanno abbandonati! Dio e solo Dio va seguito e servito!
La parola era scarsa e ora è tornata! Ma anche il ministero sacerdotale qui torna in modo credibile. La storia si era aperta con il vecchio Eli, sacerdote rassegnato e stanco, e i suoi figli sacerdoti, infedeli e approfittatori. Il sacerdozio era in discredito, accaparratore, disonesto. Ora, invece, con Samuele, qualcuno finalmente prega per il popolo (vv. 5 e 8). Il popolo sacerdotale è quello che intercede, prega, supplica per la città, i vicini, il prossimo. Inoltre, prima i sacerdoti avevano abusato del loro ufficio. Ora Samuele offre il sacrificio previsto secondo le indicazioni della legge mosaica (v. 9). Finalmente c’è un sacerdote che non fa il burocrate che prende per sé la carne, ma che la offre quale segno di riparazione per il peccato. Il popolo sacerdotale è quello che prega e indica nel sacrificio di Cristo l’unica speranza per il perdono dei nostri peccati. I sacerdoti erano corrotti e infedeli, ma ora fanno sacrifici graditi e la preghiera è ripristinata.
C’è anche il ministero regale ad essere rimesso in piedi. Samuele, oltre ad essere profeta e sacerdote, è anche giudice (vv. 6 e 15-17). Cosa vuol dire? Vuol dire che, dopo aver predicato la parola, la applicava alle situazioni della vita personale, famigliare, sociale, pubblica. Prima, ognuno faceva quello che voleva (Giudici 21,15) e c’era confusione. Vigeva la legge del più forte e gli arroganti e i violenti avevano la meglio. Ora è la legge del Signore applicata a regolare le situazioni e a risolvere i problemi. E’ la parola di Dio a mettere ordine nel caos della vita e a mantenerlo. Questo è ciò che fa il popolo regale: nei conflitti della vita, riporta l’ordine buono di Dio. Nelle distorsioni, riporta giustizia. Nelle divisioni, porta riconciliazione. Partendo dalla nostra vita ed estendendo l’ordine di Dio a raggiera. Il popolo regale non si rassegna all’ingustizia, ma promuove l’ordine di Dio.
Qui abbiamo una situazione completamente cambiata. Cosa può succedere a Roma se c’è un popolo profetico, sacerdotale e regale? Qual è la nostra speranza per la nostra vita? Semplicemente sopravvivere, vivacchiare, trovare un angolo di benessere, uno spazio per noi, o sognare e lavorare perché la parola di Dio sia proclamata e vissuta personalmente e pubblicamente?
2. Da Eben Ezer 1 (sconfitta) a Eben Ezer 2 (vittoria), evviva!
Il raduno del popolo a Mispa suscita nei filistei il timore che Israele si stia ricomponendo e quindi rafforzando. Per questo, si preparano alla battaglia per sconfiggerlo ancora. In fondo li hanno già sconfitti una volta (cap. 4) e pensano di poterli sconfiggere ancora dopo vent’anni. Il luogo è lo stesso: Eben Ezer (4,1 e 7,12), ma le cose vanno molto diversamente. Questa volta la battaglia ha un altro esito. Eben Ezer 1 era stata una sconfitta cocente; Eben Ezer 2 è invece una vittoria straordinaria.
Questa vittoria non è dipesa da circostanze militari particolari. Il popolo è tornato ad essere il popolo di Dio fedele e Dio ha vinto per loro. Dio aveva già dimostrato di poter vincere da solo (capp. 5-6), ma questa volta viene in soccorso al suo popolo e la sua presenza con loro fa la differenza anche sul campo. La seconda battaglia è accompagnata dalla preghiera e dall’offerta di sacrifici, secondo la legge mosaica (vv. 8-10). A questo punto succede qualcosa di inaspettato, fuori dalle logiche militari: Dio causa un rumore, un rimbombo simile a tuoni che spaventa i filistei. Rintronati, confusi e spaventati da questo frastuono improvviso ed inspiegabile, perdono il controllo della situazione e diventano facilmente preda di Israele che vince e si riappropria delle città e delle cose che erano state sottratte (v. 11).
Lo stesso luogo è il teatro di una sconfitta e poi di una vittoria. Non è cambiato il luogo, è cambiato il popolo. Non è cambiato Dio, è cambiato il cuore d’Israele. Non sono cambiati i filistei (i nemici), è cambiato che adesso Israele ha un ministero profetico, sacerdotale e regale credibile che prima non aveva. Non sono più sballottati dall’idolatria: sono dedicati a Dio. Non sono più divisi, sono insieme all’ascolto e al culto. Non sono più vessati da sacerdoti corrotti: sono guidati da leader integri. E poi Dio interviene miracolosamente con un atto che nessuno poteva prevedere. Non sarà così anche per Roma e per una riforma dell’evangelo in questa città? Certamente Dio dovrà mandare i tuoni, ma troverà la chiesa intenta ad ascoltare, ad ubbidire, a servire? Per molti aspetti, Roma è stata la città della sconfitta della chiesa fedele, ma può diventare la città in cui Dio manifesta la sua gloria. Lo desideriamo? E poi, oggi puoi pensare che la tua vita sia una Eben Ezer 1: una vita sconfitta, piegata, succube, infelice, spenta. Ma c’è speranza in Cristo Gesù. La stessa vita, se riorientata dalla parola di Dio, se guarita dall’opera di Cristo, se sostenuta dallo Spirito Santo, se accompagnata dalla chiesa di Dio, può diventare Eben Ezer 2: una vita integra, sanata, guarita, coraggiosa, dinamica. Una vita che si riappropria della vita che il peccato aveva rubato. Una vita che reimpara a vivere non più come succube, ma come figlia di Dio. Dove sei oggi? A Eben Ezer 1? Quanti credenti vivono costantemente a Eben Ezer 1! Vite chiuse, spente, schiacciate. Oggi la stessa vita può essere cambiata in qualcosa di diverso e di bello: Eben Ezer 2. Vite rinnovate, vite dinamiche, vite fedeli, vite profonde. Con Dio ogni cosa è possibile.
3. Sin qui il Signore ci ha soccorsi, ricordiamolo!
A questo punto, dopo la vittoria, Samuele erige una pietra perché quanto è accaduto non sia dimenticato facilmente (v. 12). Erigere una pietra era un modo per fare memoria. Anche altri prima di Samuele lo avevano fatto: i patriarchi, Mosè, Giosuè. I momenti di svolta non vanno dimenticati: va preservata la memoria, coltivato il ricordo, rinsaldato l’impegno. “Sin qui il Signore ci ha soccorso”: sì, Dio è stato fedele al suo patto. Dio non è cambiato. Dio rimane Dio. Questa è la pietra della memoria che ci deve accompagnare ogni giorno. Nelle difficoltà, ricordiamo: Dio ci ha soccorsi sin qui e continuerà a farlo. In mezzo alle incertezze, ricordiamo: Dio ci ha guidati e continuerà a farlo. Con gli interrogativi aperti, non dimentichiamo che Dio rimane Dio anche se non risponde tutto e subito alle nostre domande.
Quella pietra del soccorso era l’anticipazione della Cena che stiamo per mangiare. La pietra ricordava il soccorso di Dio. Il pane e il vino ci ricordano la morte del Signore Gesù al nostro posto, la sua resurrezione per la nostra salvezza, la sua promessa di tornare una seconda volta per attuare il compimento del suo piano, la sua presenza tra noi e in noi ogni giorno della nostra vita.
Davanti a questa pietra che è diventata una tavola imbandita che ci ricorda non la vittoria di Eben Ezer soltanto, ma la vittoria sul peccato e la morte, diciamo: “Il Signore è per me, io non temerò: che cosa potrà farmi l’uomo?” (Salmo 118,6)