Proclamiamo il regno - Luca 2,21-40

 
 

Predicatore: Davide Ibrahim
Come la maggior parte di voi saprà, i quadri che vediamo intorno a noi sono stati appesi per un’asta che si sta tenendo proprio qui in questi giorni. Amanti ed esperti d’arte sono entrati in questa sala per partecipare all’asta, sperando di aggiudicarsi una o più opere. Proviamo ad immaginarci per un momento una di queste vendite. Il banditore presenta l’opera descrivendo l’autore, la data, lo stile e le misure. Dato che secondo lui si tratta di un’opera come molte altre, decide di partire con una base d’asta piuttosto bassa. I compratori cominciano a fare le loro offerte, ma improvvisamente un uomo tra il pubblico si fa notare per via delle sue controfferte piuttosto alte. Gli altri offerenti non capiscono perché tanta euforia per un quadro come gli altri, ma questa persona è irremovibile: o se ne andrà con il quadro sottobraccio o niente. Finalmente propone un prezzo che nessun altro può controbattere: e uno, e due e tre…aggiudicato! L’uomo aveva letto di questo raro disegno in un libro d’arte e solo una cerchia ristretta di persone era al corrente della sua esistenza e del suo inestimabile valore. Da allora si era interessato così tanto da dedicare la sua intera vita a studiarlo sui manuali, a sfogliare riviste, a visitare musei e a frequentare mercatini nella speranza di trovarlo: finalmente ce l’aveva fatta! Così, si allontana da Sant’Eufemia tutto soddisfatto, immaginando già dove appenderà il quadro, mentre una giornalista della Repubblica, presente all’asta, sparge la notizia del ritrovamento di questo raro pezzo suscitando curiosità ma anche scetticismo tra gli amanti d’arte di Roma.

 
 

L’episodio narrato da Luca ricorda una situazione simile. Giuseppe e Maria, dopo essersi recati a Betlemme per il censimento decretato da Augusto, si dirigono verso Gerusalemme per adempiere alla legge di Dio. Prima di quel momento, diversi eventi soprannaturali avevano suscitato meraviglia e adorazione, ma erano limitati ad una cerchia ristretta di persone testimoni delle grandi cose che Dio aveva compiuto. Dall’anonima e silenziosa città di Betlemme, Giuseppe e Maria si erano recati nella ben conosciuta e affollata Gerusalemme per offrire il sacrificio indicato nella legge di Mosè e consacrare il bambino al Signore, essendo egli il primogenito. Tra la folla c’è Simeone, che, come l’esperto d’arte, è consapevole di trovarsi davanti a ciò che aveva atteso e desiderato da tempo: vedere la salvezza in persona! la redenzione di tutti i popoli era proprio lì davanti a lui! Finalmente prende il bambino tra le braccia e benedice Dio, mentre i suoi genitori restano meravigliati di ciò che stava accadendo. E probabilmente intorno c’erano persone che si chiedevano come mai così tanta euforia per un bambino, all’apparenza, come molti altri. Nel frattempo, Anna, come la giornalista, “sopraggiunta in quella stessa ora” loda anch’ella Dio e comincia a spargere la notizia a “tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme” (v. 38).

Nell’illustrazione, il punto focale è l’opera d’arte così tanto ambita. Ugualmente, nel racconto di Luca il protagonista è il Dio uno e trino, nella persona dello Spirito Santo, del Padre e del Figlio, che rende Maria, Giuseppe, Simeone e Anna, i ricevitori e i testimoni della salvezza “preparata dinanzi a tutti i popoli” (v. 32). È l’opera dello Spirito Santo che chiama Simeone e Anna a proclamare la salvezza tanto attesa e in quel momento presente davanti ai loro occhi. È il Padre che risponde alla speranza attesa donando il Figlio per la salvezza dell’umanità. È l’incarnazione del Figlio che rende possibile l’espiazione del nostro peccato. Quindi (1) senza lo Spirito, vana è la chiamata, (2) senza il Padre, vana è la speranza, (3) senza il Figlio, vana è l’espiazione.

1. Senza lo Spirito, vana è la chiamata
Luca ci informa che a Gerusalemme viveva un uomo di nome Simeone che “era giusto e timorato di Dio, e aspettava la consolazione di Israele” (v. 25). Il motivo della sua devozione a Dio e dell’attesa era dovuto alla presenza dello “Spirito Santo sopra di lui” (v. 25) che gli aveva rivelato che “non sarebbe morto prima di aver visto il Cristo del Signore” (v. 26). La lettera di 1 Pietro ci dice che “intorno a questa salvezza indagarono e fecero ricerche i profeti, che profetizzarono sulla grazia a voi destinata. Essi cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle” (1:10- 11). Riconosciamo in queste parole, la chiamata di Simeone. Egli era stato chiamato da Dio per mezzo dello Spirito Santo a profetizzare la grazia che avrebbe portato consolazione ad Israele e a “testimoniare delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle”. Anche lui, sicuramente, come i profeti precedenti, aveva cercato di sapere l’epoca e le circostanze della venuta del Salvatore. Dio lo aveva chiamato ad essere testimone oculare del Cristo del Signore, colui del quale aveva profetizzato e testimoniato tutta la vita. È sempre lo Spirito Santo che lo chiama ad andare al tempio e finalmente incontrare colui che aveva tanto atteso. È lo Spirito l’agente, il protagonista, l’attore principale e Simeone il servo obbediente che ascolta ed esegue la chiamata che gli è stata assegnata. È lo Spirito Santo che chiama Simeone a profetizzare e a testimoniare di Cristo; è lo Spirito Santo che chiama Simeone ad attendere finché non avesse visto la salvezza dei popoli; è lo Spirito Santo che chiama Simeone ad andare al tempio e incontrare faccia a faccia Dio incarnato nella persona di Gesù Cristo.

In egual modo, Anna era stata chiamata da Dio ad essere profetessa e quindi questo implicava una persona, come abbiamo visto, ripiena di Spirito Santo. Ella era stata chiamata da Dio per mezzo dello Spirito Santo a testimoniare di lui e a profetizzare la sua Parola. Leggiamo che era una donna vedova e anziana che non si “allontanava mai dal tempio e serviva Dio notte e giorno con digiuni e preghiere” (v. 37). Anche lei, come Simeone, fu testimone e promulgatrice della salvezza di Dio come chiaramente vediamo al versetto v. 38: “anche lei lodava Dio e parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme”.

In effetti, senza lo Spirito Santo, né Simeone né Anna, avrebbero riconosciuto in quel bambino il salvatore del mondo. Come dice Paolo in 1 Corinzi 12:3: “nessuno può dire: «Gesù è il Signore!» se non per lo Spirito Santo”. Era necessaria una rivelazione soprannaturale da parte di Dio affinché, sia Simeone che Anna, riconoscessero in quel bambino di nome Gesù, il cui significato è il Signore salva, la speranza che avevano tanto atteso e del quale erano stati chiamati a profetizzare e testimoniare a coloro che aspettavano la redenzione.

Anche noi credenti, come Simeone e Anna, siamo stati salvati per mezzo della rivelazione dello Spirito Santo che ci ha aperto gli occhi su Gesù Cristo, riconoscendo in lui il nostro Signore e Salvatore. Dio Spirito Santo è il consolatore mandato dal Padre nel nome di Gesù, cioè il Figlio, per insegnarci ogni cosa e ricordarci ciò che Dio ci ha insegnato nella sua Parola (Gv 14:26). Come nel caso di Simeone, è lo Spirito Santo che ha diretto i nostri passi verso Gesù secondo la sua volontà e le sue tempistiche. Come Simeone e Anna, siamo chiamati, in virtù del nostro ruolo profetico, a testimoniare del Vangelo e condividere la salvezza a tutti quelli che a Roma aspettano la redenzione.

2. Senza il Padre, vana è la speranza
Leggiamo che Simeone prese tra le braccia Gesù e benedisse Dio (v. 29-32) e che Anna “lodava Dio e parlava del bambino” (v. 38). Entrambi lodano Dio Padre per aver mandato Dio Figlio, l’unica speranza per la salvezza dell’uomo. Infatti, in 1 Giovanni 4:14 leggiamo: “e noi abbiamo veduto e testimoniamo che il Padre ha mandato il Figlio per essere il salvatore del mondo”. Simeone e Anna avevano entrambi veduto e testimoniato la salvezza e la consolazione del mondo. La salvezza promessa dai profeti non avrebbe potuto adempiersi se il Padre non avesse mandato il Figlio per redimere l’umanità. Gesù stesso, prima della sua ascensione, dice ai discepoli: “Come il Padre mi ha mandato, anch’io mando voi!” (Gv. 20:21). Se il Padre non avesse mandato il Figlio, vana sarebbe stata la speranza di Simeone e Anna di vedere sia con gli occhi della fede che con gli occhi fisici la salvezza del Signore. Se il Padre non avesse mandato il Figlio per morire per l’umanità e risuscitare il terzo giorno, vana sarebbe stata la nostra speranza di essere salvati dal peccato.

Come vediamo dalle parole di Simeone la salvezza del Padre per mezzo del Figlio è offerta a tutti i popoli “per essere luce da illuminare le genti e gloria del popolo Israele” (v. 32). Gli ebrei che aspettavano la redenzione avrebbero visto in Gesù l’adempimento delle profezie della Parola di Dio e riconosciuto in lui lo “splendore della gloria” di Dio (Ebrei 1:3). La salvezza profetizzata non è esclusiva del popolo d’Israele ma è stata elargita a tutti coloro che credono. Diversamente dagli ebrei, i gentili sono stati introdotti per la prima volta alla salvezza di Dio per mezzo di Gesù Cristo stesso, la Parola incarnata. In un modo o nell’altro, il fine ultimo è conoscere attraverso la rivelazione dello Spirito Santo il Figlio e colui che lo ha mandato. Simeone dice che Gesù è “posto a caduta e a rialzamento di molti in Israele…affinché i pensieri di molti cuori siano svelati” (v. 34-45). Incontrare Gesù non può lasciarti indifferente: o lo riconoscerai come la pietra angolare sulla quale basare la tua vita e le tue speranze presenti e future o sarà una fastidiosa pietra d’inciampo oggi e per sempre.

Che tu sia una persona che ha già sentito parlare della salvezza di Dio o che tu non abbia mai sentito parlare di Gesù e di cosa è venuto a fare per l’umanità, oggi è il momento di riconoscere che il Padre ha mandato il Figlio per essere il salvatore del mondo. La salvezza di Dio è offerta a chiunque crede e riconosce di essere un peccatore che necessita della salvezza di Dio. Simeone e Anna avevano posto la loro speranza nella salvezza di Dio. Riconosci che la tua unica speranza di vita è credere nel Figlio che il Padre ha mandato per redimerti dal tuo peccato?

3. Senza il Figlio, vana è l’espiazione
Gesù nacque soprannaturalmente dall’opera dello Spirito Santo in Maria, ma questo non lo rese meno umano di noi. Maria e Giuseppe si recarono a Betlemme a censire la loro famiglia come qualsiasi altra. Dopo Betlemme si recarono a Gerusalemme per adempiere la legge del Signore e consacrare Gesù in quanto primogenito. Notiamo che Simeone prese in braccio il bambino ancora prima della consacrazione, ad indicare che Gesù, dalla sua nascita, era già stato posto al servizio di Dio per una missione specifica. Luca ci informa che i genitori di Gesù si meravigliarono delle parole di Simeone. Nonostante fossero già stati ricevitori di parole profetiche e strumenti e testimoni di eventi soprannaturali, non riuscivano ancora a capacitarsi che il bambino, all’apparenza come tanti altri, potesse suscitare una tale reazione. Simeone profetizza a Maria dicendole: “a te stessa una spada trafiggerà l’anima” (v. 35). La madre di Gesù avrebbe sofferto per suo figlio e sperimentato immenso dolore nel vederlo inchiodato alla croce, come avrebbe fatto qualsiasi altra madre davanti alla sorte del figlio.

L’infanzia e la crescita di Gesù (v. 40) certificano che nella sua natura umana il Figlio di Dio era uguale a noi in ogni cosa, eccetto che nel peccato (Ebrei 2:14-18). Dio, nel tempo da lui prestabilito e decretato, “mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge” (Gal. 4:4). Era necessario che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, fosse totalmente uomo e totalmente Dio per redimerci dal nostro peccato. Era necessario che il Figlio si incarnasse per adempiere completamente la legge che Adamo aveva fallito di adempiere. Era necessario che il Figlio si incarnasse per essere il nostro perfetto sostituto alla croce. Era necessario che il Figlio si incarnasse per essere il perfetto mediatore tra Dio e l’uomo. Era necessario che il Figlio si incarnasse affinché simpatizzasse con le nostre emozioni, le nostre gioie, le nostre debolezze e le nostre sofferenze.   

Ringraziamo Dio perché in Gesù Cristo, “prese forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil. 2:7) e visse una vita completamente sottomessa al Padre fino alla morte di croce. Ringraziamo Dio perché con la sua incarnazione e la sua morte siamo stati salvati e per mezzo dello Spirito Santo partecipiamo della natura divina essendo entrati in relazione con il Dio uno e trino (2 Pietro 1:4). Ringraziamo Dio perché è l’esempio perfetto in Gesù Cristo da imitare per le nostre vite: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, non visse una vita distaccata dalla realtà. Soggiornò pienamente in Israele dall’infanzia all’età adulta. Morì e risuscitò per i nostri peccati sapendo che la sua destinazione finale sarebbe stata alla destra del Padre. Anche noi, perciò, in quanto figli di Dio, siamo chiamati a vivere la nostra vita pienamente e realisticamente a Roma, consapevoli che Dio simpatizza con le nostre gioie e i nostri dolori e ben consci del fatto che siamo già stati eternamente salvati e che la destinazione finale sarà la pienezza, la realizzazione completa e totale, di ciò che abbiamo già ricevuto in Gesù Cristo.


Grazie a tutti coloro che sostengono la Chiesa Breccia di Roma con le loro offerte.