Un’estate per essere provocati dall’adorazione - Salmo 95
Predicatore: Leonardo De Chirico
Quando è stata l’ultima volta che sei stato invitato ad una festa? Un compleanno? Una laurea? Un matrimonio? Una promozione? Ebbene tutti oggi, tramite questo salmo, riceviamo un invito da parte di Dio stesso a adorarlo e di farlo non in modo privato e introspettivo, ma pubblico e partecipato! In genere, tuttavia, l’invito contiene la motivazione della festa, la data, il luogo, l’ora e qualche indicazione. Attenzione però: questo invito del salmo 95, oltre a dire a cosa Dio ci invita, è anche un ammonimento e si conclude con un appello. È un invito un po’ strano, a suo modo provocante o provocatorio. Lo vogliamo aprire insieme?
1. L’invito per sempre
Come molti altri salmi di questo quarto libro del salterio, anche il 95 si apre con un accorato invito universale alla lode di Dio (vv. 1-6). “Venite, venite”, “presentiamoci”: intanto c’è la chiamata ad avvicinarsi a Dio e gli uni agli altri per rispondere a questo invito muovendosi. L’adorazione non ci fa stare dove siamo, bloccati nelle nostre situazioni di vita, ma ci spinge a muoverci verso Dio e più vicini l’uno all’altro.
L’invito ci dice anche in cosa consiste l’adorazione di Dio. Non è che ognuno fa quello che vuole e interpreta creativamente l’invito secondo i propri gusti. Il salmo ci invita a cantare con gioia, acclamare (cioè partecipare ad un coro ad alta voce, tipo quello del tifo da stadio), celebrare la grandezza di Dio, inchinarci di fronte alla sua maestà ed inginocchiarci davanti a Lui. La bocca, il fiato, il corpo, il cuore … tutto è coinvolto nell’adorazione. Siamo invitati a muoverci verso Dio, verso gli altri, con tutto noi stessi. Non esiste una lode a menù dove scegliamo quello che più ci piace e con quale percentuale partecipare. La lode è una chiamata totalizzante che ci unisce a Dio, che ci lega al popolo di Dio, nella completezza della nostra persona.
L’invito del salmo ci ricorda anche le ragioni per cui siamo chiamati a lodare Dio. Lui è un Dio grande, incomparabilmente più grande di tutti gli esseri grandi, siano re o divinità. Lui è il Creatore del cielo e della terra e tiene in sua mano la vita degli abissi del mare e delle cime delle montagne. C’è un diritto cosmico all’adorazione di Dio che gli deriva dal suo essere Creatore e provveditore dell’universo intero. L’invito è allora universale, cioè include tutti, perché tutti apparteniamo al mondo di cui Dio è Signore!
C’è però una ragione particolare per cui noi credenti siamo invitati al culto di Dio (v. 7). Lui è il nostro Dio e noi siamo il popolo di cui ha cura. In altre parole, Dio è la rocca della nostra salvezza (v. 1). Dio è Signore dell’universo; Dio è salvatore del suo popolo. È un Dio universale e personale. L’appello è rivolto a tutti e specialmente ai credenti.
Solo una breve annotazione. La lode a Dio non è basata su come ci “sentiamo” in questo momento o se ne abbiamo “voglia”. Non è centrata sulla nostra percezione delle cose e non dipende dal nostro stato d’animo. La lode è un diritto ancorato oggettivamente alla maestà di Dio Creatore e alla grazia di Dio salvatore. Il nostro dovere e piacere come creature è di lodare Dio nel giorno felice e nell’esperienza travagliata. Oggi è il giorno della lode, che ti senti giù o su, abbattuta o sollevata. Oggi è il giorno dell’adorazione perché Dio è Dio ed è degno di essere lodato, sempre e comunque. La festa è di Dio Padre e per Dio Figlio e grazie a Dio Spirito Santo, alla gloria di Dio uno e trino.
2. L’ammonizione di ieri
Nell’invito è presente anche un’ammonizione. Attenzione, ci dice il salmo: nell’adorare il Signore state attenti a non fare quello che fece una generazione in particolare nella storia d’Israele che fu chiamata come voi ad adorare, ma con le proprie scelte prese una direzione molto diversa.
I riferimenti diretti sono agli episodi raccontati in Esodo 17,1-4 e in Numeri 20,2-13. In un contesto di lamentela per le difficoltà della vita nel deserto e dell’apparente mancanza di acqua, il popolo cominciò a lamentarsi al punto da mettere in discussione la presenza stessa di Dio. La fatica e la sete fecero dubitare e diedero lo spunto per lamentarsi. C’erano sicuramente delle difficoltà in corso, ma, appunto, possono i problemi della vita intaccare l’adorazione di Dio? Sì, se siamo noi a stabilire i criteri della lode. No, se è Dio a stabilirli ancorandoli alla sua persona benedetta. Sì, se sono le “massa” e le “meriba” (i periodi di difficoltà) della nostra vita a determinare la qualità della nostra vita cristiana. No, se viviamo le nostre “massa” e “meriba” rimanendo stabili nella fede in un Dio fedele ed affidabile.
Nel riprendere questo salmo, la lettera agli Ebrei (capp. 3-4) lo mette in collegamento alla ribellione che ci fu dopo l’esplorazione della terra promessa. La maggioranza del popolo, di fronte alla prospettiva di combattere contro città fortificate e contro giganti, si spaventò e si fermò. Invece di avvicinarsi a Dio e stare vicino gli uni agli altri nella lode, il popolo si scompose e si perse d’animo.
La conseguenza fu che quella generazione perse la benedizione di entrare nella terra promessa. Morirono nel deserto e non videro quasi nulla. In più Dio provò nausea per loro (v. 10), ebbe un conato di vomito. Faremo lo stesso noi? Dio ci chiama ad affrontare un’impresa impegnativa: vivere la vita cristiana è una sfida continua dove si sperimenta sete, fatica e senso d’impotenza. Smettiamo di lodare per passare alla modalità lamentela o continuiamo a lodare fidandoci del Dio dell’universo e della nostra salvezza? Quando Dio guarda a noi prova gioia o nausea? Lo facciamo gioire o disgustare? Quella fu la generazione M (massa e meriba). Noi siamo la generazione M 2.0 che ripete i passi falsi di quella generazione antica? Come rispondiamo a questa provocazione? Rimaniamo sulla soglia del piano di Dio a guardarlo da lontano perché troppo presi nelle cose che non vanno ora o troviamo il coraggio in Dio di andare avanti come popolo della lode che conosce Dio e lo fa conoscere?
3. L’appello per oggi
È tanto forte il tono del salmo che, oltre a contenere un invito e un’ammonizione, rivolge anche un accorato appello a noi che ascoltiamo questa parola. “Oggi” (v. 8) cosa farai? Cosa faremo? Le “massa” e le “meriba” ci saranno sempre nella vita. La fatica, la sete, i giganti, le città fortificate saranno sempre da affrontare. Avremo sempre esperienze caratterizzate da “massa e meriba”. Forse oggi ne stai vivendo una. Cosa fai oggi? Cosa faremo oggi?
C’è un grande rischio qui: quello di una lode senza conseguenze, di una lode retorica, di un’adorazione formale, di essere un popolo cristiano della domenica, dell’evasione dalla vita, della frammentazione dell’esistenza. L’adorazione ha delle conseguenze. Se adoriamo Dio per chi Lui è, allora viviamo con Lui le gioie e i dolori, le prove e le difficoltà, sempre lodando, sempre fidandoci, sempre andando avanti verso il riposo promesso. Se non ha delle conseguenze, è un’adorazione fasulla, è aria fritta religiosa, è alienazione dalla realtà.
Anche Gesù affrontò le sue “massa e meriba”, momenti di prova e di tentazione. Qualcuno gli suggerì di mollare, avvicinandosi alla morte sudò persino sangue. “Non la mia volontà, ma la tua, Padre, sia fatta”, fu la sua risposta. Nell’“oggi” della sua prova, Gesù non tornò indietro, né si fermò: andò avanti sino alla fine. Perché Lui ha adorato ubbidendo e andando avanti, anche noi, grazie a Lui, possiamo OGGI superare le nostre “massa e meriba” e procedere nella corsa davanti a noi.
Non rimanere sulla soglia della promessa di Dio, ma entra nel suo riposo, adorandolo oggi e domani e per sempre.