Un’estate per essere consapevoli del giudizio di Dio - Salmo 94
Predicatore: Leonardo De Chirico
Questo salmo è come un pugno in pancia che toglie il fiato. Ammettiamolo: non piace a nessuno parlare del giudizio di Dio o considerare Dio come giudice. Anzi è sempre più ostico affrontare il discorso sia fuori che dentro la chiesa. Da secoli, ormai, si è formata una reazione contro l’idea che Dio sia un giudice, il giudice, il mio giudice, il giudice di tutti. Semmai, piace l’idea che Dio sia amore e misericordia, ma non sappiamo collegare questa idea al giudizio divino. In modo conscio o inconscio, ci sembra un’idea arcaica di Dio, non al passo coi tempi. Ci fa paura. Ci imbarazza. Per questa ragione, in molti discorsi cristiani, si glissa sul giudizio per non dire che lo si rimuove.
C’è però un altro estremo. Alcuni credenti fanno del giudizio di Dio sugli altri un’arma da brandire nelle conversazioni. Lo usiamo come argomento polemico contro gli altri, non apprezzando il fatto che Dio è giudice di tutti, noi compresi e nessuno escluso. Quando parliamo del giudizio di Dio, stiamo parlando anche del giudizio su di noi, prima che sugli altri. Per questo il nostro tono dovrebbe essere sempre sobrio e autocritico, mai arrogante.
Questo salmo ci aiuta a fare i conti con Dio in quanto giudice e col giudizio di Dio in modo vero ed equilibrato, fuori dagli imbarazzi e dai luoghi comuni. Ci dice che il giudizio di Dio è giusto, vince la malvagità e conforta chi lo ama.
1. Il giudizio che è sempre giusto
L’attacco del salmo non dà adito a dubbi: Dio è invocato come il Giudice, Dio delle vendette nel senso di Dio che esegue i suoi giudizi. Se vuoi conoscere Dio e relazionarti con Lui, sappi che Dio è anche giudice. Non chiede il permesso agli altri per esserlo, non chiede scusa se lo è, non prova imbarazzo. In quanto Dio, Dio è anche giudice di tutti e di tutto (vv. 1-2). Se Dio non è anche giudice, non è il Dio della Bibbia, ma un idolo fatto ad immagine e somiglianza umana. Per la Bibbia, il fatto che Dio sia amore richiede che sia anche giudice. Non c’è contraddizione, anzi è necessario che tutti gli attributi “buoni” di Dio (amore, misericordia, pazienza) siano collegati con quelli “giusti” (santità, giustizia). Un Dio che prende impegni e fa promesse, cioè il Dio d’alleanza, deve essere l’uno e l’altro.
Il fatto che Dio sia creatore implica che sia anche giudice: “Colui che ha fatto l’orecchio, non ode? Chi ha formato l’occhio, non vede?” (v. 9). Il fatto che Dio dia saggezza implica che ne chiederà conto (v. 10). È scritto nella natura di Dio essere il nostro giudice. Qui nel salmo si collega il giudizio di Dio alla giustizia di Dio (v. 15). In altre parole, il giudizio di Dio non è arbitrario, lunatico, basato su informazioni sbagliate o parziali, condizionato da limiti o comprato in modo disonesto. Il Giudice divino è giusto, dunque il suo giudizio è secondo giustizia. Non a caso, Paolo parlerà del “giusto giudizio di Dio” (Romani 1,5).
Una delle nostre obiezioni profonde viene quindi affrontata e rimossa. Il fatto che Dio giudica e giudicherà appartiene alla natura stessa di Dio e quando parliamo del giudizio di Dio, parliamo di un giudizio giusto, cui nessuno può eccepire. La Parola ci vuole ammorbidire rispetto alla nostra difficoltà ad accettare il giudizio di Dio. I giudici umani possono sbagliare per mille motivi, ma il Giudice divino non sbaglia. Che piaccia o non piaccia, Lui è il Giudice e il suo giudizio è giusto.
2. Il giudizio che vince la malvagità
Il Salmo insiste anche su un secondo punto. Senza il giudizio di Dio, la malvagità dilagante e devastante causata dal nostro peccato non avrebbe nessun argine, nessuna protezione e nessuna compensazione che ristabilisca la giustizia. Il giudizio di Dio è l’argine della verità contro la menzogna, è la vittoria del Regno di Dio su tutti i tentativi di sovvertirlo, è l’affermazione di Dio sui suoi nemici. Il mondo è pieno di discorsi arroganti (v. 4), di malfattori, di persone che ne schiacciano altre e che opprimono (v. 5), di omicidi di persone deboli (la vedova, lo straniero, l’orfano, v. 6). Se non fosse per il giusto giudizio di Dio, la marea montante del male coprirebbe tutto e il mondo diventerebbe inesorabilmente un inferno. Certamente il magistrato è un ministro di Dio per eseguire un certo grado di giudizio (Romani 13). Il giudizio umano del magistrato, tuttavia, limita il male e ricostituisce un minimo di vivibilità, ma molti crimini sono impuniti e molti malfattori la fanno franca. Inoltre, i sistemi della giustizia umana sono fallibili e parziali, talvolta corrotti. In più, il giudizio umano non tratta il peccato contro Dio e il peccato del cuore. Solo il giudizio divino lo fa. Il giudizio divino è la garanzia che Dio vince e vincerà e che giustizia sarà fatta, prima o poi.
Se Dio non fosse giudice, vincerebbe sempre il male, il malvagio, il malfattore, l’odiatore, il violento, lo stupratore, lo sfruttatore. Se Dio non fosse giudice, i sistemi di vita sarebbero sempre più invivibili, corrotti, letali. Se Dio non fosse giudice, avrebbe avuto ragione il serpente che ha sedotto Adamo ed Eva. Avrebbe avuto ragione Caino che ha ucciso Abele. Avrebbe avuto ragione Faraone che ha sterminato i bambini. Avrebbe avuto ragione Golia che ha sopraffatto per un tempo Israele. Avrebbe avuto ragione Davide che ha fatto vergognosamente uccidere Uria.
Ma, grazie al giudizio di Dio, la spirale della malvagità è stata contrastata: la famiglia di Noè è scampata al diluvio, Mosè ha liberato il popolo, Anna ha pregato per una svolta, Davide ha sconfitto Golia. Tutti questi episodi della storia biblica indicano che la giustizia di Dio non ha lasciato libero corso al male, ma lo ha frenato e parzialmente vinto. Sino al punto in cui Dio stesso, nella persona del Figlio incarnatosi in Gesù Cristo, è venuto per rivendicare il suo essere il Giudice universale che impedisce che la malagiustizia e la sopraffazione avessero la meglio.
La croce e la resurrezione di Cristo sono insieme il momento in cui Dio rivendica per sé il compito di giudice che gli spetta: il peccato non ha l’ultima parola, il male non vince. Chi vince è Gesù Cristo che, morendo e risorgendo, prende in mano il suo ruolo di giusto giudice in attesa di eseguirlo alla fine dei tempi.
Mentre preghiamo per i magistrati che applicano la giustizia, mentre preghiamo gli uni per gli altri nelle nostre responsabilità di essere giudici nel campo professionale, famigliare, sociale, ecc. che a noi compete, ringraziamo Dio perché non ci ha lasciati alla mercé del male. In Gesù Cristo, Dio ha preso in mano il giudizio che gli spetta di diritto ricordando a tutti che i conti si faranno in modo definitivo ed inesorabile con Lui. La spirale del male è stata spezzata. Per questo, oltre a pregare e a svolgere la nostra responsabilità di giudizio misurata alle nostre vocazioni, siamo interessati all’amministrazione della giustizia a Roma, a come funzionano i tribunali, alle condizioni di chi è più indifeso, alla denuncia delle ingiustizie e al sostegno a chi le subisce. Confessare Dio come giudice spinge ad essere interessati alla giustizia sempre e comunque e ad attivarsi affinché giustizia sia fatta, sperando sempre nel fatto che Dio è il giusto giudice su tutto e su tutti.
3. Il giudizio che conforta i credenti
Il Salmo porta anche conforto a chi riconosce in Dio il giusto Giudice. Sapere che Dio è giudice dà “sollievo nelle avversità” (v. 13), sostegno nei turbamenti (v. 18), riparo e rifugio nella sofferenza (v. 22). Non tutte le ingiustizie sono riparate qui e ora, subito e definitivamente. Tante situazioni rimangono in sospeso. Tante ingiustizie sono impunite. Tante zone grigie permangono.
A Roma come altrove, questa è esperienza comune: non essere retribuiti giustamente, avere condizioni di lavoro ingiuste, non ricevere risposte in tempi ragionevoli, vedere altri andare avanti senza motivi, osservare pratiche inique essere considerate come “normali”, vedere gli stranieri e le vedove trattati male. La fede non ci dice di subire passivamente, ma di esercitare pazienza perché Dio è giudice e prima o poi giustizia sarà fatta. Profeticamente, dobbiamo dire la verità; regalmente, dobbiamo vivere in modo integro; sacerdotalmente, dobbiamo avere pazienza, pregare e affidarci al giudizio di Dio che non tarderà, prima o poi, di ristabilire la verità, ripristinare l’integrità ed affermare il suo regno.