Tre qualità controculturali della regalità secondo Dio - 1 Samuele 24,1-23

 
 

Predicatore: Leonardo De Chirico

“Il re è nudo” è una frase da una fiaba di Andersen. Quella storia racconta che un giorno ad un re fu fatto credere che lui poteva vestirsi di una stoffa magica che non esisteva ma che a tutti sembrava vera e colorata. Andò in giro per la città vestito di questa stoffa immaginaria e, mentre tutti avevano paura di dire quello che vedevano, solo un bambino ebbe il coraggio e l’onestà di dire: “il re è nudo”. “Il re è nudo” è diventato un modo per dire una cosa che tutti vedono ma che pochi vogliono dire pubblicamente perché scomoda, controcorrente. 

Questo capitolo ci parla di un re letteralmente nudo (e per di più intento a fare i suoi bisogni!) e ci fa vedere la regalità in modo cristiano, cioè sobrio e realista. Vedremo tre qualità della regalità secondo Dio e ci chiederemo se e come queste qualità si riflettono nel nostro modo di essere una comunità regale a Roma.

1. Umiltà sapendo di essere nudi e piccoli
La storia ci dice che Saul era sempre all’inseguimento di Davide nel tentativo di ucciderlo. Davide non voleva il male di Saul, ma Saul era ossessionato dalla teoria del complotto secondo cui Davide stava tramando un colpo di stato contro di lui. Cercandolo insieme a tremila soldati scelti, ad un certo punto, Saul avverte la necessità di fare i suoi bisogni, entra in una grotta, sceglie un angolo, si sveste e si rannicchia. Il re è nudo, vulnerabile, intento a fare la cacca (v. 4). Il racconto non ha pudori nel parlare di questo. E’ il re con la corona in testa, circondato da tremila soldati, ma è nudo davanti a Dio, solo ed indifeso mentre fa la cacca. Il re è come tutti gli altri: un essere umano, creato da Dio, che Dio vede così com’è: nudo e fragile, dentro i cicli vitali, umorali e spirituali di tutti gli altri. 

Ricordiamoci sempre che davanti a Dio siamo nudi. Davanti agli altri possiamo avere il vestito della nostra professione o il mantello della nostra reputazione o il cappello della nostra prestazione, ma davanti a Dio siamo quello che siamo: nudi, vulnerabili e fragili. Davanti a lui non ci possiamo nascondere. Anche le parti più riservate che abbiamo pudore di mostrare agli altri, Dio le conosce. Siamo nudi e scoperti davanti a Lui (Ebrei 4,13).

Più avanti, è Davide che rinforza questo punto quando, difendendosi ancora una volta davanti a Saul, dice: “io sono una pulce, un cane morto” (v. 15). Davide, l’unto del Signore, il vincitore su Golia, il re avviato a regnare su tutto Israele, si sente una “pulce”, piccolo piccolo, insignificante e fragilissimo. Addirittura un “cane morto”, sempre vicino alla fine e sempre sull’orlo della morte. Dio ci vede nudi, Dio ci vede piccoli, ci vede fragili, ci vede per quello che siamo. 

La regalità secondo Dio non gonfia l’orgoglio, ma stimola la sobrietà, l’umiltà, il senso del limite e della precarietà. “Quando sono debole, allora sono forte”, diceva Paolo (2 Corinzi 12,10). La regalità umana e romana vuole esaltare, ingrandire, far apparire; basta vedere gli archi di trionfo, le iscrizioni e le statue celebrative di imperatori e papi. La regalità cristiana invece riconduce alla realtà e invita all’umiltà. “Il re è nudo”. Anche noi lo siamo e, per grazia soltanto, siamo rivestiti del Signore Gesù (Romani 12,14). Rimaniamo sempre forti in Dio e sobri in noi stessi.

2. Mitezza sapendo che giustizia e vendetta sono cose diverse
Mentre Saul fa i suoi bisogni, solo ed indifeso, Davide gli si avvicina senza farsi notare. Umanamente parlando, ha l’occasione di vendicarsi di tutto il male che Saul ha fatto alla sua persona, alla sua famiglia (che è diventata sfollata e senza più casa: 22,1), alle famiglie dei sacerdoti sterminati, al suo amico Gionatan. I suoi stessi famigliari gli consigliano di vendicarsi e di uccidere Saul (v. 5) ora che è nelle sue mani. Davide resiste a questo suggerimento. Certo, rispondere male al male in una forma di vendetta è una opzione molto praticata e diffusa. Al male ricevuto si risponde col male inflitto e, così facendo, si scatena una spirale di male.

Davide, tuttavia, sa distinguere la vendetta dalla giustizia. Dio è il giusto giudice a cui Davide si appella lasciando che sia Dio a stabilire ciò che è giusto (v.13). Dio farà giustizia tra Saul e Davide, ma Davide non si vendicherà di Saul. Giustizia sarà fatta, ma da parte del giusto Giudice e nel tempo giusto della giustizia. Davide in questo caso non fa una vendetta personale e si affida al livello del giudizio appropriato tra due re umani: il Re divino. Davide non è accondiscendente al male, né sta zitto rispetto al male ricevuto da Saul: lascia tuttavia a Dio il diritto e i tempi in cui eseguire il giudizio, evitando di vendicarsi lui. La giustizia non è abolita, al contrario è affermata. Ciò che è fermata è la vendetta. Come risposta al male, la vendetta personale è sempre sbagliata.

Le comunità umane diventano impazzite quando ognuno si fa giustizia da sé in un’ottica vendicativa. Quando tutti rispondono al male ricevuto facendo male agli altri succede una catastrofe. La regalità cristiana è controculturale perché coltiva l’umiltà nella considerazione di sé e perché pratica la giustizia e non la vendetta. “Chi è lento all’ira vale più di un guerriero; chi ha autocontrollo vale più di chi espugna una città” (Proverbi 16,32). Dio ci conceda di rispondere così al male intorno a noi: denunciandolo sempre, non praticando vendette personali, rimettendo la causa al livello appropriato di giustizia (famiglia, chiesa, scuola, condominio, datore di lavoro, tribunale, …) e in ultima istanza a Dio, il giusto giudice di tutti e su tutti. 

3. Speranza sapendo che il regno di Dio mantiene le promesse 
Dopo essere stato risparmiato, Saul si rende conto della risposta controculturale di Davide che non si è vendicato. Saul riconosce che, essendosi comportato così, Davide è più giusto di lui (v. 18). Per la prima volta, Saul riconosce anche che Davide diventerà re d’Israele e che il suo regno sarà stabile (v. 21). Essere stato trovato nudo ed essere stato risparmiato dalla vendetta ha portato Saul a vedere la realtà dal punto di vista di Dio: lui, Saul, è una creatura come le altre e il regno è saldamente in mano a Dio. Qui il re decadente (Saul) riconosce il re ascendente (Davide).

Per la prima volta, Saul pensa al futuro nei termini del regno di Dio e non del suo regno personale. Il regno di Dio proseguirà con Davide, anche senza Saul. Questo sarà il futuro. Non il regno di Saul, non il regno della sua famiglia, ma il regno di Dio tramite Davide e la sua discendenza. Per la prima volta dopo molto tempo, Saul non pensa più a Davide come ad un nemico, ma come al vero re giusto e amoroso il cui regno proseguirà e nel cui regno anche la famiglia di Saul avrà un futuro.  

Ora, alla luce di tutta la Bibbia, noi sappiamo che il vero re non è nemmeno Davide, ma Gesù Cristo e che il futuro non sarà del regno di Davide, ma del regno di Gesù Cristo. Quando noi finalmente vediamo che non siamo al centro del mondo, ma Cristo lo è, e quando realizziamo che Dio non è un nemico, ma che in Cristo è “Dio con noi”, ecco che ci apriamo alla speranza. Si apre la visuale; vediamo le cose da un’altra prospettiva; scorgiamo un futuro; abbiamo speranza. 

Davide giurò a Saul che la sua famiglia sarebbe stata al sicuro. La lettera agli Ebrei ci dice che Dio stesso ha giurato su Sé stesso l’impegno di realizzare la promessa di benedizione non solo per la famiglia di Saul, ma per l’intera famiglia di Abramo, la famiglia di tutti i credenti di ogni tempo e di ogni luogo (Ebrei 4,13-20). Chi crede in Gesù Cristo, il Re dei re e il Signore dei signori, riceve la promessa di essere salvato. Siamo nudi, ma in Cristo siamo rivestiti della veste bianca della giustizia! Siamo circondati dal male, ma in Cristo possiamo vincere il male col bene e affidarci al suo giudizio! Siamo precari, ma in Cristo possiamo avere la speranza di essere nel regno di Dio, ora e per sempre! Questo è il modo di essere una comunità regale controculturale secondo Dio.


 
 

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