Prove di regalità - 1 Samuele 13,1-22
Predicatore: Leonardo De Chirico
L’emergenza sanitaria del coronavirus sta mettendo alla prova tutti coloro che hanno delle responsabilità. Pensiamo ai governi che devono disporre misure straordinarie; pensiamo agli ospedali che devono organizzare un carico maggiore di assistenza; pensiamo ai datori di lavoro che devono affrontare la chiusura temporanea delle attività; pensiamo ai papà e alle mamme che devono impegnare i loro figli, .. Insomma tutti coloro che hanno una responsabilità “regale” oggi sono messi sotto pressione. Le nostre responsabilità, la nostra regalità, in qualunque ambito essa sia esercitata (personale, professionale, famigliare, ecclesiale, sociale, ecc.), è sempre sotto stress ed è sempre in pericolo di essere svolta male.
In questo capitolo vediamo come non solo il nuovo re d’Israele, Saul, ma tutto il popolo con lui vive forme malate di regalità. Solo un uomo “secondo il cuore di Dio” (v. 14) sarebbe stato il vero principe del popolo e avrebbe vissuto la regalità in modo adeguato. Le forme malate di regalità descritte in questo capitolo possono essere anche le tue, le nostre: regalità impaurite, regalità impazienti, regalità imprevidenti.
1. Regalità impaurita
Il primo a non vivere bene la propria regalità è il popolo intero. Nel costante conflitto coi filistei, questo capitolo ci parla di un popolo che ha paura, che si nasconde (v. 6), che trema e che scappa (v. 7) davanti al nemico. Certamente, il pericolo e la minaccia dei filistei non sono immaginari: ci sono trentamila carri, seimila cavalieri e tantissimi soldati, come la sabbia del mare (v. 5). L’esercito filisteo è forte, armato e potente. La situazione è pericolosa. La battaglia si preannuncia pesante. Qui scatta la paura, lo scoramento, il tremore (v. 7). Anche se aveva un re, come aveva chiesto per combattere meglio, il popolo è in preda al panico.
Di fronte alle difficoltà, agli imprevisti, alle sfide grandi, è facile cedere alla paura e desiderare di ritirarsi nelle caverne. Invece di stare sul campo di battaglia, scappare. Invece di guardare a Dio ricordando le sue vittorie e fidandosi di Lui, è facile guardare alla forza del nemico ed iniziare a tremare dalla paura. Quante persone sono oggi nascoste! Quanti credenti sono oggi in luoghi chiusi per paura della battaglia! Il coronavirus è solo l’ultima delle paure, ma ce ne sono tante altre. Paura di esporsi, paura di non farcela. La paura è una malattia della regalità. Significa che si stanno vedendo ingigantiti i pericoli e rimpicciolite le promesse di Dio.
Hai paura oggi? Cosa ti mette paura? La malattia, la morte, la crisi, l’incertezza, le preoccupazioni, … Le responsabilità regali espongono a rischi; la regalità cristiana affronta pericoli; vivere in modo ordinato secondo Dio e voler estendere il suo regno comporta delle battaglie dure. Il mondo, in effetti, fa paura e sfida ogni azione regale in nome di Dio. Tuttavia, fidiamoci di Dio che ha preso un impegno con il suo popolo e che manterrà le Sue promesse, sempre. E osiamo per Lui tenendo le posizioni e, anzi, avanzando con fede.
2. Regalità impaziente
Qui entra in scena il re Saul. Il popolo trema e lui, che dovrebbe guidarlo, viene tradito dall’impazienza. Ha una giusta intuizione e cioè di ricompattare il popolo e l’esercito intorno ad un sacrificio offerto a Dio. Vuole risolvere il problema della paura e dello scollamento mediante un atto di culto che rimetta al centro Dio, il suo patto, la sua presenza (v. 8). L’intuizione è giusta, ma la gestione è pessima. Avrebbe dovuto aspettare Samuele per offrire il sacrificio in quanto Saul aveva ricevuto l’incarico di re, di capitano dell’esercito, ma non di sacerdote. Vedendo che il popolo era irrequieto e cominciava ad abbandonarlo, Saul perde la pazienza e fa qualcosa di scellerato: compie lui stesso il sacrificio e quindi usurpa un ruolo che non è suo. Subito dopo arriva Samuele che lo riprende severamente anticipandogli che il regno gli sarà tolto e sarà dato a qualcun altro (vv. 11-14).
Sarebbe bastata un po’ di pazienza, un po’ più di modestia, un po’ più di fiducia non solo per avere l’idea giusta, ma anche per eseguirla giustamente. Quante volte, sotto pressione, facciamo le scelte sbagliate. Quanto volte, nella frenesia e nell’impazienza e nello stress, buttiamo via le responsabilità che Dio ci ha dato.
Oltre alla paura, anche l’impazienza è un nemico della regalità cristiana. Quando non ci fidiamo dei tempi di Dio e vogliamo che i nostri tempi siano rispettati. Quando non rispettiamo i limiti giusti messi da Dio e vogliamo ricostruirli come vogliamo noi. Quando in situazione di stress, agiamo di fretta in preda alla frenesia, invece di continuare a fidarci del fatto che Dio ha sempre in mano la nostra vita e che il Suo piano è quello che sussiste.
3. Regalità imprevidente
La conclusione del capitolo ci parla di un’altra malattia della regalità. Nell’intero popolo d’Israele, non c’era chi lavorasse il ferro (v. 19): nessun fabbro in grado di fabbricare ed affilare spade e lame (v. 20). Manca un servizio fondamentale ad un popolo che volesse lavorare la terra e combattere la guerra. Tutta la tecnologia del ferro e la manutenzione degli attrezzi è appaltata ad altri. C’era una lacuna grave, una pericolosa disfunzionalità, un buco spaventoso. C’è una mancata previdenza che alla lunga viene pagata. Infatti, nel momento del bisogno, non ci sono spade in giro (v. 22). Devono impegnarsi in una battaglia, ma non hanno armi.
Come si fa ad essere un popolo senza fabbri? Come si fa ad essere un popolo che vuole avanzare senza pregare, senza formarsi nella fede, senza evangelizzare, senza servire? Come può una chiesa pensare di essere una comunità regale se non è una comunità profetica e sacerdotale? Come si fa ad essere credenti vivi avendo gravi disfunzionalità nella vita morale e spirituale? Prima o poi, le lacune accumulate si pagano ed espongono a delle debolezze pericolose.
Oggi ci sono molte chiese che non hanno fabbri, che non lavorano il ferro, che hanno disfunzionalità che prima o poi espongono a dei crolli. Ma ci sono anche tanti credenti che sono a rischio crollo perché hanno un buco vistoso nella loro vita cristiana. Una chiesa matura deve essere previdente, equilibrata, ordinata; stare attenta a non trattenere travi negli occhi o avere buchi neri nella propria vita. Se ci sono lacune, esse vanno individuate e risolte. Non dobbiamo essere indolenti e imprevidenti con ciò che non va nelle nostre vite. Prima o poi pagheremo il conto. Se non preghiamo, prima o poi ci raffredderemo. Se non leggiamo la Bibbia, prima o poi ci fermeremo. Se non testimoniamo, prima o poi ci afflosceremo.
Le nostre regalità possono essere impaurite, impazienti e imprevidenti. Il capitolo però ci dà la speranza che c’è un re “secondo il cuore di Dio” (v. 14). Un re che è forte e coraggioso, che aspetta e fa quello che gli è chiesto, un re che è completo ed affidabile. Questo re sarebbe venuto dopo Saul. Questo re sarebbe stato Davide, ma ancora più che Davide, sarebbe stato Gesù Cristo. Il re a cui affidare la nostra vita. Il re che ha affrontato il male e lo ha sconfitto. Un re che ha formato un popolo che estenda la sua regalità in tutto il mondo. Un re che può guarire le malattie delle nostre responsabilità e fare di noi un popolo forte, paziente e previdente, per portare l’evangelo in questa città e nel mondo.