Regalità alla prova dell’ubbidienza - 1 Samuele 15,1-35

 
 

Predicatore: Leonardo De Chirico

Vi invito a riflettere su questa affermazione: non basta avere un re per avere un buon re. Sì, uno può avere la corona in testa ed essere legittimamente sul trono, ma essere un cattivo re. Può essere re, senza essere un buon re. Nella nostra storia italiana recente, abbiamo avuto un re come Vittorio Emanuele III. Era un re legittimo e a tutti gli effetti. Però, durante il suo regno, ha permesso la presa del potere del fascismo; ha taciuto sulle leggi razziali contro gli ebrei e sulle leggi discriminatorie contro gli evangelici, ha lasciato che il paese entrasse in una guerra devastante. Il risultato è stato il disastro totale: un paese distrutto e con tanti morti. Vittorio Emanuele III è stato re, ma un pessimo re. Non ha esercitato una buona leadership: non ha fatto quello che doveva fare e ha fatto ciò che non doveva fare. Alla fine ha abdicato e dopo poco l’Italia è diventata una repubblica. 

La domanda allora è: cosa fa di un re, un buon re? Questa è esattamente la domanda di questi capitoli del libro di Samuele. Ora Israele ha un re, come aveva chiesto. Saul è stato proclamato re ed è il re. Eppure, il modo in cui fa il re è pessimo. Nel cap. 14, Saul aveva preso una decisione sbagliata che aveva condotto il popolo a peccare e avrebbe eliminato il miglior soldato, nonché suo figlio, Jonathan. Il popolo era dovuto intervenire per fermarlo perché Saul, che era il re, era stato un cattivo re. In quell’episodio abbiamo tratto un incoraggiamento ad essere tutti insieme una comunità regale imitando il re giusto e santo, Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore. 

Questo capitolo ci presenta un’altra storia in cui Saul non si comporta da buon re. Dalla regalità inaffidabile del cap. 14 cade ancora più in basso: la regalità disubbidiente del cap. 15. Nel capitolo precedente fu salvato dal popolo che prese il suo posto. In questo capitolo viene invece scaricato e viene preannunciato l’arrivo di un altro re. Il suo grave problema fu la disubbidienza. Vediamo perché in tre punti che indicano il cuore del problema.

1. (Dis)ubbidienza selettiva

Questa volta Dio prende l’iniziativa e ordina di eseguire il suo giudizio sugli Amalechiti (v. 3). In passato questo popolo aveva ostacolato il viaggio del popolo d’Israele verso la terra promessa. Dio non dimentica il peccato e prima o poi esegue il suo giudizio sui peccatori. Ogni peccato sarà giudicato e punito, sicuramente al giudizio finale. In questo caso, chiede a Saul di essere l’esecutore del suo giudizio. Questo spiega la ragione dell’ordine di sterminio: è l’esecuzione anticipata di un giudizio che comunque sarebbe stato eseguito al giudizio finale.

Saul esegue questo ordine in modo parziale e selettivo. Sconfigge l’esercito amalechita, ma risparmia il loro re e gli animali migliori (v. 9). L’ordine di Dio era 100 e lui esegue 70. Saul si prende la libertà di interpretare il comando di Dio a suo piacimento. Non si oppone in modo frontale, ma nemmeno lo esegue in modo totale. Fa qualcosa, ma non tutto. Si mette in moto, ma non fino in fondo. Si ferma prima, decide lui la misura giusta. Ridefinisce i termini di Dio e impone i suoi. E’ una forma di disubbidienza subdola e contorta perché apparentemente ubbidisce, ma in realtà disubbidisce. Agli occhi di Dio, infatti, Saul non ha eseguito i suoi ordini (v. 11). Ubbidienza parziale per Dio è disubbidienza totale.

Quante volte abbiamo ubbidito così ai nostri genitori? Un po’ sì, ma anche un po’ no. Quante volte anche noi diciamo di voler fare la volontà di Dio, ma a modo nostro. Un po’ sì, ma fino ad un certo punto. C’è una canzone famosissima di Frank Sinatra “My way” dove tutto viene fatto “my way”. Alla domanda: hai ubbidito a Dio? Saul ha risposto: sì, ho ubbidito “my way”. Agli occhi di Dio, l’ubbidienza “my way” è disubbidienza. Non possiamo essere una comunità regale “my way”, ma secondo la sua volontà che richiede una ubbidienza piena!

 

2. (Dis)ubbidienza mascherata

Vediamo un secondo punto. Quando Samuele gli chiede da dove vengano tutti quei belati di pecora e muggiti di mucca (v.14), Saul dà una spiegazione “spirituale” che però copre una motivazione molto carnale. Lui dice che gli animali servono per i sacrifici (v. 15), servono per il culto, servono per le esigenze della chiesa, ma non è vero. Saul cerca di dare una spiegazione religiosa ad una decisione che si era basata sulla convenienza economica. Infatti, tutte le cose di poco valore erano state distrutte, ma gli animali di valore erano stati preservati. Saul vuole “spiritualizzare” i motivi della sua disubbidienza, dandole una giustificazione apparentemente sana, ma realmente falsa.

Quanto è facile cadere in questa forma di giustificazione del nostro peccato. Gli mettiamo sopra un vestito spirituale, ma dentro rimane peccato. Cerchiamo di creare una realtà virtuale che nasconda quella vera, che comunque viene fuori. Mascherare la realtà è come creare una bolla che, prima o poi, scoppia. E infatti Samuele la fa scoppiare subito e gli dice: “basta!” (v. 16). Prima o poi le nostre false coperture scoppiano e la verità emerge.

 

3. (Dis)ubbidienza scaricabarile

C’è un terzo punto da sottolineare. Saul ha disubbidito e ha cercato una scusa. Messo nell’angolo da Samuele, cerca invano un’altra via di uscita. Dà la colpa al popolo (v. 21) scaricando su di esso la responsabilità di aver tenuto in vita il bestiame. Il peccato, quando non confessato, crea un pendio scivoloso fatto di bugie, tentativi di copertura, scarichi su altri di responsabilità. Mette in moto una spirale di mezze verità, manipolazioni, auto giustificazioni penose. Il gioco dello scaricabarile è molto diffuso nella nostra cultura. Quante volte sentiamo e diciamo: “ma non è colpa mia! E’ colpa degli altri”. E’ iniziato con Adamo quando ha dato la colpa ad Eva che ha dato la colpa al serpente, nessuno assumendosi le proprie responsabilità. Questo gioco perverso continua ancora oggi con tantissimi praticanti. Questa non è regalità. Questa è pessima regalità.

Saul era re ma non era stato un buon re e non sarebbe più stato re. A questo punto, Samuele dice qualcosa su come deve essere un re secondo il cuore di Dio e per estensione come deve essere una comunità regale degna di questo nome. Questo è il segreto per un buon re: “ubbidire è meglio del sacrificio” (v. 22).

Essere un buon re significa non comandare, ma ubbidire prima. Non dare ordini, ma ascoltare. Non primeggiare, ma essere sottomesso a Dio. E poi, ubbidire non a metà, ma pienamente alla volontà di Dio. Ubbidire senza maschere false, ma con trasparenza e prontezza ad ammettere quando sbagliamo. Ubbidire senza incolpare sempre gli altri, ma assumendoci le nostre responsabilità.

A Roma, essere una buona comunità regale significa ubbidire in modo integrale alla Parola di Dio, non in modo “my way”. Significa non mascherare il proprio peccato ma chiamarlo per nome e pentirsi. E’ meglio essere accettati da Dio che fare “bella figura” davanti agli uomini. Vuol dire anche assumersi le proprie responsabilità e riconoscere il proprio peccato senza addossare ad altri la colpa. Vogliamo essere una comunità regale così?

Saul fu un pessimo re in quanto disubbidì e non salvò né il popolo e nemmeno se stesso. Ci fu un re che venne dopo di Lui che ubbidì in modo pieno e diede la sua vita per salvare il popolo. Gesù fu mandato per svolgere l’opera della salvezza e la compì fino in fondo, non a metà e nemmeno dicendo “my way”. Gesù fu mandato anche per essere il giudice sul peccato e nessuno scamperà alla sua giustizia. Gesù fu anche l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. In Lui l’ubbidienza al Padre e il sacrificio per noi si intrecciarono perfettamente. Grazie a Gesù il re dei re, noi possiamo essere una comunità regale che ascolta la Parola di Dio e che ubbidisce con tutto il cuore!