La fede decostruisce il fascino delle ricchezze - Giacomo 5,1-6
Predicatore: Leonardo De Chirico
Abbiamo tutti negli occhi le immagini di navi affondate che stanno sul fondo del mare: ad esempio, la Costa Concordia davanti all’isola del Giglio, piegata su se stessa con mezzo scafo sott’acqua. Lì la sera dello schianto sulle rocce (2012) era in corso una festa con balli, spumanti e piatti prelibati, incontri galanti, luci colorate e intrattenimento. Poco dopo l’urto contro gli scogli, le luci si sono spente, i bicchieri si sono infranti, la musica è finita e tutti sono stati presi dal panico: 32 persone sono morte, tutti gli altri hanno dovuto abbandonare la nave in fretta e mettersi in salvo. Qualche settimana dopo, le telecamere dei sommozzatori hanno mostrato che i saloni che avevano ospitato le feste erano devastati, le camere lussuose erano diventate dimore di pesci e di alghe, la melma aveva corroso i mobili, gli oggetti, tutto! Niente era rimasto come prima.
Con questa immagine di luoghi lussuosi e di persone gaudenti cui segue la devastazione e la disperazione possiamo entrare nel testo in cui Giacomo si rivolge ai ricchi. Non è la prima volta che lo fa (vedi 1,10-11 e 2,6), ma qui è la sezione più lunga in cui le cose dette prima sui ricchi sono elaborate ed intensificate ancor più. Ci sono tre inviti pressanti che Giacomo rivolge ai ricchi di allora e a tutti noi che cadiamo nello stesso loro peccato: quello di vivere per le ricchezze facendo di quello che abbiamo o desideriamo avere il nostro idolo a cui sacrificare tutta la vita.
1. Guarda la fine delle ricchezze
Come abbiamo visto al cap. 2, nella chiesa c’erano ricchi e poveri. La chiesa doveva essere il luogo in cui le differenze potevano vivere in modo riconciliato e tutte le persone trattate con uguale dignità favorendo anche pratiche di condivisione e forme di redistribuzione. Non era così. C’erano, al contrario, riguardi personali che favorivano i ricchi e emarginavano i poveri. C’erano anche comportamenti abusivi dei potenti sui poveri. Questo era ed è un cancro nella vita della chiesa. Che fare?
La chiesa deve sempre guardarsi dal dividersi tra ricchi e poveri. Non deve annullare o cancellare le differenze, le deve riconciliare. Chi fa del denaro il suo idolo tende ad essere miope: riesce a vedere solo quello che gli sta vicino e ha della distanza una percezione confusa. Qui Giacomo invita tutti i ricchi miopi ad indossare gli occhiali dell’evangelo e a vedere la fine delle ricchezze. Prima o poi, senza pentimento, le risate diventeranno pianto e urla di disperazione (v. 1). Le fortune godute oggi saranno calamità domani. I patrimoni che oggi sembrano essere sicuri diventeranno marci (v. 2). I vestiti che sono oggi ben allineati negli armadi capienti saranno pieni di tarli e un ammasso di stracci. L’oro e l’argento che oggi luccicano saranno tutti arrugginiti (v. 3). I corpi che sono oggi pasciuti e ben nutriti saranno divorati dal fuoco.
Gli occhiali dell’evangelo fanno vedere le cose in prospettiva e correggono la vista miope. Chi non ha questi occhiali vede solo a breve distanza. Molte persone sono miopi. Concentrano tutto sul qui e ora, accumulano pensando di poter mantenere, guardano solo a sé disinteressandosi degli altri, vivono come idoli di sé stessi accentrando su di sé ogni bene possibile. Che abbiamo molte o poche ricchezze, l’idolatria del vivere per sé e contro gli altri è un peccato diffusissimo, fuori e dentro la chiesa.
L’evangelo di Cristo è la grande storia che ci aiuta a mettere gli occhiali di Dio sul mondo e a correggere i nostri difetti di vista. Ci permette di vedere da dove veniamo (siamo creature di Dio, create per vivere per Lui nel mondo). Ci fa vedere cosa abbia determinato la nostra miopia (il peccato, il voler vivere per noi stessi, senza Dio). Ci dà la correzione per la nostra vista (la salvezza per fede soltanto in Gesù Cristo). Dunque, con gli occhiali dell’evangelo possiamo vedere più nitidamente anche la fine di tutto: la nostra vita passa come un fiore del campo (1,10-11), è un vapore che dura un istante (4,14). Invece di accumulare tesori qui, costruiamo ricchezze eterne. Invece di coltivare ambizioni egoistiche, creiamo una cultura della condivisione. Invece di essere gli idoli di noi stessi, riconosciamo che Dio è il principio e la fine e il centro della nostra vita. Questa è la svolta che porta al cambiamento oggi e per sempre.
2. Ascolta il grido delle ingiustizie
Senza l’evangelo non siamo solo miopi, siamo anche sordi. Chi vive per le ricchezze non solo non vedeva cosa sarebbe successo di lì a poco, ma non ascoltava le grida di quelli che subivano le loro angherie. Evidentemente, nelle chiese a cui si rivolge Giacomo c’erano ricchi che erano anche datori di lavoro di fratelli e sorelle che lavoravano per loro tanto ricevendo poco in cambio, anzi pochissimo. I ricchi stavano frodando i lavoratori, non pagandoli in modo adeguato (v. 4). I contadini gridavano per la fatica, chiedendo condizioni di lavoro dignitose e paghe giuste. Gridavano, gridavano, ma questi ricchi non sentivano, non volevano sentire. Le loro orecchie erano sorde, insensibili, chiuse. Quante volte le nostre orecchie sono sorde a quanto ci viene detto, comunicato, talvolta urlato, altre volte sussurrato da chi è nel bisogno e chiede aiuto? Quanto volte le nostre orecchie sono sorde davanti a chi denuncia il nostro peccato e chiede giustizia? Quante volte le nostre orecchie sono insensibili alle giuste rivendicazioni di lavoratori sottopagati, senza alcuna protezione e garanzia, sfruttati e abusati? E’ facile girare la testa dall’altra parte e fare finta di niente.
Senza Cristo, la nostra vista è miope e il nostro udito è sordo. Ma Dio vede e Dio sente. Le grida di lamento degli sfruttati arrivano alle orecchie del Signore (v. 4). In tutta la Bibbia Dio viene descritto come il Signore che vede lontano e in profondità e che sente tutto, dalle grida di dolore ai sospiri del cuore. Non c’è niente che possa sfuggire a Lui. Nella sua grazia, Lui ha raccolto il nostro grido di dolore e ha mandato suo Figlio per essere l’imprenditore giusto che pianta una vigna e ci chiama a lavorare per Lui trattandoci come figli e dandoci tutto quello di cui abbiamo bisogno. Credendo in Lui, le nostre grida sono udite, giustizia è fatta e le nostre orecchie sono aperte per ascoltare le grida degli altri. Stiamo ascoltando il grido di chi, intorno a noi, chiede giustizia in una città ingiusta come Roma?
3. Vivi in modo sobrio e generoso
Il peccato rende ciechi e sordi e l’evangelo di Cristo ci permette di vedere e di sentire. C’è un terzo invito che Giacomo fa alla chiesa. Lo stile di vita di questi ricchi era opulento, ostentato, eccessivo. Vivevano in modo sfarzoso e in continue feste e baldorie (v. 5). Mentre altri erano poveri e non avevano il necessario, loro vivevano come nel film “la grande bellezza”. La città di Roma è uno specchio di queste dinamiche in cui l’ostentazione di alcuni fa a pugni con la precarietà di molti. Anche nella chiesa si erano infiltrate queste radici avvelenate.
Come l’evangelo ci fa vedere e udire, così ci fa anche scoprire le virtù cristiane quali la sobrietà e la temperanza: vivere in modo adeguato, non eccessivo, misurato, umile, frugale. Quest’anno stiamo ricordando il centenario di John Stott (1921-2011), grande predicatore e leader evangelico del XX secolo. Ebbene, nel 1980 Stott convocò un convegno ad Hoddesdon sponsorizzato dal Movimento di Losanna e dall’Alleanza Evangelica Mondiale in cui venne redatto un documento importante: “Un impegno evangelico per uno stile di vita semplice”.[1] Sulla base delle dottrine bibliche della creazione, del peccato e della redenzione in Cristo, la responsabilità cristiana è di vivere in modo semplice e come persone in pellegrinaggio, senza mettere il cuore nei possedimenti e nelle ricchezze, senza sprechi e dispendi esagerati. All’interno della comunità cristiana locale ed allargata, Dio ci chiama a favorire forme di riequilibrio mediante la generosità e l’attenzione a chi ha meno. Alla luce dell’evangelo, la chiesa è anche il luogo dove ripensare anche gli squilibri internazionali, vedendone gli intrecci politici e strutturali, sempre avendo a cuore la diffusione dell’evangelo sino al ritorno del Signore. Voglia il Signore fare della nostra chiesa una comunità di persone che vedono oltre il quotidiano, che sentono le grida intorno e che vivono in modo sobrio e generoso, alla gloria di Gesù Cristo che, essendo ricco, si è fatto povero per noi per farci diventare ricchi di Lui (2 Corinzi 8,9).
[1] In Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, a cura di P. Bolognesi, Bologna, EDB 1997, pp. 149-157.