Prove di lealtà regale - 1 Samuele 20,1-43

 
 

Predicatore: Leonardo De Chirico

Qualche anno fa lavorai sullo scambio di lettere tra il riformatore francese Giovanni Calvino e la duchessa di Ferrara, Renata di Francia. Si incontrarono a Ferrara nel 1536 una sola volta nella vita, ma da lì in avanti e fino alla morte di Calvino (1564), si scambiarono delle lettere. Mentre lavoravo sulle lettere, mi venne in mente un titolo da dare al carteggio: lealtà in tensione. Renata era sposata al duca di Ferrara, Ercole II, e doveva quindi una certa lealtà al marito e alla corte di Ferrara. Era anche cognata del re di Francia e doveva in qualche modo rispondere alla famiglia reale di provenienza. Inoltre, era anche credente di fede evangelica e anche la sua fede le dava delle responsabilità. Molti avevano delle aspettative, delle pretese su di lei. Il marito voleva che fosse una fedele cattolica devota al papa; la famiglia reale voleva che non creasse problemi diplomatici alla Francia e che quindi stesse “tranquilla”; la sua fede (e l’incoraggiamento di Calvino) la richiamavano alla sua primaria responsabilità verso Dio e a prendere posizione pubblica per l’evangelo qualunque fosse il costo da pagare. La vita di Renata si trovò quindi a vivere in un campo di tensione. Di qui il titolo del libro: lealtà in tensione[1]

Il capitolo che abbiamo letto ci parla di Gionatan che vive delle lealtà in tensione. Nel suo caso, entrano in rotta di collisione e chiedono una scelta di fondo. A ben vedere, ogni esercizio di regalità cristiana avviene in una campo di tensione permanente. Vivere in modo responsabile, integro, guarito porta ad affrontare sempre situazioni in cui ci sono tensioni: la famiglia ha delle aspettative, il datore di lavoro, i colleghi, la chiesa, gli amici, ecc. Quando tutto fila liscio, bene, ma quando ci sono direzioni contrastanti e scelte che vanno in senso opposto, cosa fare? Come svolgere un ministero regale in situazioni dove ci sono incroci che portano su strade diverse? Qui vedremo cosa fece Gionatan e, sullo sfondo, cosa possiamo fare noi credenti in Gesù Cristo. 

1. Tra comunità di fede e legami famigliari/sociali
Gionatan si trova stretto tra lealtà che entrano in conflitto. Saul vuole uccidere Davide e Gionatan si trova in mezzo ai due. Saul ha due pretese su Gionatan. Da un lato è suo padre e quindi ha una rivendicazione famigliare. Dall’altro, Saul è il suo re e quindi ha una rivendicazione politica. Saul vuole che Gionatan diventi complice a danno di Davide: se non lo fa, sarebbe diventato la “vergogna” della famiglia (v. 30) e avrebbe messo a rischio la successione al trono (v. 31). Sono due argomenti forti: sono tuo padre, sono il tuo re. Tu Gionatan sei parte della famiglia e sottoposto all’interesse dello stato. 

Sono argomenti forti anche nella nostra vita: la nostra famiglia può avere delle aspettative che noi facciamo questo o quello; altrimenti causeremmo imbarazzo se non vergogna alla famiglia. Inoltre, le comunità sociali (le amicizie, lo stato, il datore di lavoro) ci spingono a sottometterci a decisioni altrui. 

D’altro lato, Gionatan è amico di Davide (18,1-4). Non sono parenti di sangue, ma sono fratelli di fede. Non sono famigliari, ma hanno tra loro un patto di cui Dio è testimone (v. 23 e 42). Hanno un legame di fede nel Dio d’Israele e credono entrambi nel regno di Dio già stabilito e veniente. 

Gionatan è stato sin qui rispettoso del padre e del suo ruolo di re, anche se Saul è stato dissennato nei confronti di Gionatan (ricordate quando Saul voleva uccidere Gioanatan per aver mangiato, cap. 14?). In questo capitolo, Saul prende in mano la lancia per colpire suo figlio (v. 33). Eppure Gionatan continuerà ad essere rispettoso di Saul, tanto da morire al suo fianco in battaglia (cap. 31). Gionatan continuerà ad adempiere ai suoi doveri sociali e militari, partecipando alle attività previste. Tuttavia, anche se Saul è suo padre ed è il suo re, quando essergli leale entra in conflitto con la comunità di fede rappresentata da Davide, Gionatan sceglie Davide. Sceglie la famiglia di Dio, si muove dentro gli impegni presi davanti a Dio con Davide. 

Noi non dobbiamo vivere in modo conflittuale le relazioni con la nostra famiglia, né essere ribelli contro lo stato o le altre comunità sociali in cui siamo inseriti. Ma quando queste ci impongono scelte che vanno contro Dio, contro la chiesa, contro l’evangelo, ecco che la nostra regalità deve saper dire dei “no” e scegliere Dio e il suo regno. Se e quando le lealtà entrano in collisione, saremo con Saul o con Davide? Saremo legati ai nostri obblighi di famiglia o alle aspettative di altri o saremo liberi e coraggiosi di identificarci con Dio e col suo popolo? Questo è quanto Gesù dice quando afferma che “se uno viene a me non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Luca 14,26). Siamo noi discepoli di Gesù nei suoi termini?

 

2. Tra speranze riposte nel regno e ambizioni personali 
Oltre a chiedergli lealtà famigliare, Saul cerca di convincere Gionatan solleticandone le ambizioni personali. Per Saul, Davide era una minaccia per sé e anche per la successione al trono. Se Davide fosse stato in vita, Gionatan non sarebbe stato re. Saul ragiona carnalmente, politicamente, vedendo l’interesse del suo regno e trasferendolo a suo figlio. Pensa che Gionatan possa convincersi del fatto che è suo interesse che Davide sia eliminato. Stuzzica le sue ambizioni personali: se Davide muore, tu sarai il re! Ti conviene! 

Ma Gionatan ragiona in modo diverso. Aver stretto un patto con Davide davanti a Dio significa che Gionatan ha imparato a far coincidere le sue ambizioni con quelle del regno di Dio. Non è Gionatan al centro, ma Dio e il suo piano che passa per Davide. Le speranze di Gionatan sono nel regno di Dio, non nel suo regno! Gionatan si è impegnato col piano di Dio e non con le aspettative della famiglia. C’è qualcosa di più grande e di più bello e di più ambizioso della sua carriera personale o del suo successo. Rimanendo fedele a Davide, Gionatan sa che un giorno Davide avrebbe avuto cura della sua famiglia (v. 15), cosa che Davide avrebbe fatto onorando Mefiboset, figlio di Gionatan (2 Sam 9,7).

Come ragioniamo noi? Quali sono le nostre ambizioni? Dove sono riposti i nostri sogni? Cosa speriamo del futuro? Che cosa sollecita le nostre aspettative? Gionatan aveva resistito la tentazione di sentirsi al centro del mondo e di piegare tutto al servizio delle sue ambizioni personali. Gionatan aveva imparato a scegliere Dio e il suo popolo e ad affidarsi al disegno di Dio per la sua vita e oltre. Faremo noi lo stesso? 

Chiudiamo con un’ultima osservazione. Ad un certo punto, nel suo dialogo tesissimo con suo padre Saul, Gionatan fa una domanda drammatica: “Perché Davide dovrebbe morire? Che ha fatto?” (v. 32). In effetti, Davide è innocente: non sta tramando contro Saul, non vuole la morte del re. E’ stato unto da Samuele per essere re dopo Saul. La stessa domanda fece Ponzio Pilato nei confronti di Gesù: Gesù non ha fatto niente che meriti la morte, perché deve essere ucciso? (Marco 15,14). Davide non aveva fatto nulla di male e Gesù non aveva fatto nulla di male. Eppure Davide fu risparmiato, Gesù no.

Perché Gesù, il re, il messia, l’unto di Dio, ha dovuto morire? Ha dovuto morire per realizzare la promessa del regno a Davide. Ha dovuto morire per accogliere chi crede nel suo popolo. Ha dovuto morire per estendere la benedizione promessa alle generazioni di credenti nel suo nome. Ha dovuto morire per rendere esecutivo e definitivo il patto stabilito da Dio col suo popolo 

Gionatan si è fidato di Davide. Noi ci affidiamo ad uno superiore di Davide che ha dato la sua vita per la nostra affinché chi crede in Lui abbia vita eterna. Ti affidi a Lui?

[1] Lealtà in tensione. Un carteggio protestante tra Ferrara e l’Europa (1537-1564), a cura di Leonardo De Chirico e Daniele Walker, Caltanissetta, Alfa & Omega 2009.